Recensione: Unholy Cross

Di Lorenzo Bacega - 23 Marzo 2011 - 0:00
Unholy Cross
Band: Bloodbound
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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64

La carriera dei Bloodbound prende il via nel 2004, quando il chitarrista Tomas Olsson e il tastierista Fredrik Bergh, due amici di lunghissima data, decidono di mettere in piedi una propria band capace di spaziare tra power e heavy metal. Il loro album d’esordio, intitolato Nosferatu (2006), è uno di quelli che lasciano il segno: il disco, malgrado una proposta musicale tutt’altro che originale (giusto per usare un eufemismo), mette infatti in evidenza delle potenzialità compositive non indifferenti, lanciando di fatto il gruppo svedese tra le realtà più promettenti del panorama power metal internazionale. A questo punto però qualcosa si inceppa: sia il secondogenito Book of the Dead, che il successivo Tabula Rasa non riescono infatti a riconfermarsi sugli stessi standard qualitativi del full length di debutto, vuoi a causa dei numerosi cambiamenti di line-up che, periodicamente, vanno a intaccare la stabilità della formazione scandinava, vuoi per una ricetta che con il passare del tempo si fa sempre più prevedibile e banale. E’ quindi una band in uno stato di forma tutt’altro che esaltante quella che da alla luce questo Unholy Cross, quarto studio album ufficiale pubblicato dai Bloodbound, dato alle stampe nel mese di marzo 2011 dalla tedesca AFM Records.

Archiviata una volta per tutte la sfortunata parentesi di Tabula Rasa, lavoro che, a fronte di un songwriting piuttosto incostante, metteva comunque in evidenza una certa volontà da parte dei Bloodbound di percorrere strade più personali rispetto al passato, questo Unholy Cross torna a fissarsi su coordinate stilistiche a cavallo tra heavy metal tradizionale e power metal, per un sound abbastanza vario e melodico, influenzato in egual misura da gruppi del calibro di Hammerfall, Helloween e Edguy. Rispetto all’uscita precedente, a livello di formazione, bisogna sicuramente segnalare l’ingresso tra le fila del gruppo del cantante Patrik “Pata” Johansson (già in forza ai Dawn of Silence), frontman dal timbro vocale a metà strada tra Bruce Dickinson e Tobias Sammet, arrivato nel corso del 2010 in sostituzione del defezionario Urban Breed (Pyramaze, ex Tad Morose). A ciò si aggiunge l’innesto del bassista Anders Broman al posto di Johan Sohlberg (uscito dalla band nei primi mesi del 2011 per motivi personali), così da costituire assieme al batterista Pelle Åkerlind una sezione ritmica nel complesso forse poco fantasiosa, ma senz’altro solida nel sorreggere le composizioni.

Sono dieci le tracce che costituiscono questo Unholy Cross, per un minutaggio complessivo che si attesta intorno ai cinquanta primi di durata. Un lavoro che ci offre una manciata di brani compatti e di grande impatto, piuttosto lineari, complessivamente semplici e assimilabili nella loro interezza nel giro di davvero pochi ascolti. Malgrado queste premesse tutto sommato incoraggianti, non si può fare a meno di sottolineare come il risultato conseguito in questa occasione risulti, tuttavia, a malapena sufficiente: poche sono infatti le luci e tantissime le ombre all’interno di questo disco, a cominciare da una proposta musicale davvero troppo derivativa e povera quanto a spunti personali, proseguendo per un songwriting abbastanza lacunoso e discontinuo, nell’insieme eccessivamente banale e manchevole di spessore. Basti pensare a questo proposito ai tre mid-tempo iniziali, vale a dire nell’ordine Moria, Drop The Bomb e The Ones We Left Behind: i brani in questione infatti, a dispetto di una serie di melodie piuttosto ruffiane ma tutto sommato apprezzabili, risultano nel complesso un po’ troppo piatti e privi di mordente, da un lato a causa di una certa ripetitività e prevedibilità a livello di strutture (in special modo per ciò che concerne i refrain), dall’altro per l’esasperazione di alcune soluzioni stilistiche (come ad esempio i cori) che finiscono immancabilmente per appesantire l’ascolto. Vanno un po’ meglio le cose quando il gruppo inizia a spingere sull’acceleratore con maggiore continuità: a questo riguardo è possibile citare la veloce In The Dead Of Night, brano che, nonostante la scarsa originalità, si mette in evidenza grazie a una serie di melodie decisamente accattivanti. Ottima anche la conclusiva Unholy Cross – a detta di chi scrive l’episodio più interessante di tutto il disco –, pezzo alquanto compatto e roccioso che ha il proprio principale punto di forza in un ritornello davvero irresistibile.

In definitiva, ci troviamo al cospetto di un disco di mestiere, complessivamente ben suonato, con qualche pezzo tutto sommato carino, ma decisamente privo di spessore e destinato a cadere nel dimenticatoio nel giro di pochissimo tempo: malgrado la presenza di qualche spunto effettivamente interessante, questo Unholy Cross si rivela infatti essere un lavoro poco coinvolgente, piuttosto banale a livello di songwriting e, di conseguenza, poco longevo. Insomma, un passo falso per gli svedesi Bloodbound, nella speranza che la prossima uscita possa assestarsi su livelli qualitativi ben migliori di questi.

Lorenzo “KaiHansen85” Bacega

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Tracklist:
01. Moria
02. Drop the Bomb
03. The Ones We Left Behind
04. Reflections of Evil
05. In for the Kill
06. Together We Fight
07. The Dark Side of Life
08. Brothers of War
09. Message from Hell
10. In the Dead of Night
11. Unholy Cross

Line Up:
Patrik Johansson – Lead Vocals
Tomas Olsson – Guitars
Fredrik Bergh – Keyboards, Backing Vocals
Henrik Olsson – Guitars
Pelle Åkerlind – Drums
Anders Broman – Bass

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