Recensione: Unhortodox

Di Daniele D'Adamo - 18 Gennaio 2015 - 18:26
Unhortodox
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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75

Venticinque anni di carriera, festeggiati con un nuovo album. Cosa potrebbe esserci di meglio, per i belgi Insanity Reign Supreme?

“Unhortodox”, infatti, giunge a cinque lustri dal lontano 1989, quando la band nacque a Limburg. Un intervallo temporale che ha dato modo, ai Nostri, di mettere giù una discografia certamente non abbondante ma comunque degna di menzione: due demo (“Insanity Reigns Supreme”, 1991; “Our Path Is Dark And Lonely”, 1995), una compilation (“Preludes Of Darkness…”, 1999), e quattro full-length (“…And Darkness Drowned The Land Divine”, 1998; “Prophecy Of Doom”, 2003; “Occultus Insanus Damnatus”, 2009; “Unorthodox”, 2015).  

“Unorthodox”, come lascia intendere il nome, si basa sull’eterno dualismo fra vita e morte, sacro e profano; dividendosi musicalmente in tre tronconi cui dà il la “The Conjuring”, suddivisi dalle altre due strumentali / ambient “Moonlight Sacrifice” e “The Calling”. Un dualismo che segna profondamente l’ensemble fiammingo anche e soprattutto nello stile, sì assibilabile – in tutto e per tutto – al death, epperò tinto pesantemente con fosche pennellate di black. ‘Blackened death metal’, così ama definirlo qualcuno, rimandando così la mente ai suoi principali epigoni, cioè ai polacchi Behemoth.

Come da definizione, quindi, gli Insanity Reign Supreme non inventano granché di nuovo. Death e black sono stati esplorati negli anfratti principali, ed è su queste certezze che si basa il sound di “Unorthodox”. Un sound tuttavia privo di difetti, pieno e completo in ogni sua parte, che dimostra senza mai tentennare sia la bravura di Criz James e i suoi compagni, sia la loro esperienza. Con che, dopo un po’ di passaggi, si legge con relativa facilità il marchio di fabbrica ‘Insanity Reign Supreme’ stampato sul CD. E, in ciò, occorre sottolineare la buona predisposizione del quintetto a mantenere il proprio sound moderno e in forma, aggiornato secondo i dettami imposti dall’evoluzione tecnologica ma anche artistica (non a caso “Unorthodox” è stato registrato in Germania presso gli Stage One Studios da Andy Classen – Belphegor, Legion Of The Damned, Destruction – e ornato dallo stupendo artwork disegnato dal frontman dei Septic Flesh Seth Siro Anton).

Quando si pigia con decisione il piede sull’acceleratore, il death secco e preciso di “Unorthodox” fa la sua bella figura (“Ov Fire”, brano ripreso e arricchito da voci femminili nella conclusiva “Serpent Ov Fire”), fra la tanto roca quanto ottima prestazione vocale del summenzionato Criz James e i chirurgici blast-beats di Edward Jacobs. Gli Insanity Reign Supreme, tuttavia, paiono ben più efficaci quando, al contrario, il ritmo cala vertiginosamente per lambire, quasi, i confini del doom (“Cursed Be The Faithful”). In tali occasioni, difatti, la discesa nell’abisso dell’Oscurità pare inarrestabile. Complice la già menzionata prova del vocalist, arcigna e superba nel prendere per mano i peccatori e trasportarli negli Inferi, e l’inserimento di acute e dissonanti urla muliebriche, il tono del platter diventa ossessivamente funereo, morboso, addirittura macabro. Eccellendo, per questo, nella migliore song del lavoro, “By The Blood Of The Beast”. Ove, seppur lievemente, fa la sua comparsa la melodia; ottima ad alimentare la visione lisergica di dimensioni parallele dominate da forze crepuscolari.

Un buon esempio di death lineare e diretto, “Unhortodox”. Irreprensibilmente allineato ai più avanzati stilemi del genere stesso. Senza inerpicarsi in complicate divagazioni evoluzionistiche, gli Insanity Reign Supreme mantengono ben saldi i piedi sulla terra, anzi sottoterra, facendosi notare per la loro coerenza e professionalità. Un pizzico di discontinuità nella verve delle song mina leggermente la valutazione finale del disco che, in ogni caso, si lascia ascoltare con raffinato piacere.

Più che discreto, insomma.

Daniele “dani66” D’Adamo

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