Recensione: Universe

Di Stefano Burini - 14 Marzo 2014 - 8:00
Universe
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2014
Nazione:
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70

I Truckfighters sono un power trio stoner rock proveniente da Örebro, Svezia, e composto da Oskar “Ozo” Cedermal alla voce e al basso, Niklas “Dango” Källgren alla chitarra e Andre “Poncho“ Kvarnström alla batteria.
 
Buona parte della loro notorietà si deve certamente a Josh Homme, più o meno consapevolmente protagonista di uno spezzone video nel quale definisce i Truckfighters «Probably the best band in the world!»; e, come di solito accade in questi casi, vale la pena di farsi forse la più retorica delle domande: fu veramente vera gloria? Si e no.
 
Intendiamoci, i tre scandinavi sanno suonare e hanno anche qualche buona idea, eppure l’ascolto per intero dell’ultimo “Universe” finisce per lasciare il tipico, amaro, retrogusto dell’occasione mancata. La voce di Ozo è calda e tutto sommato melodica (nell’ambito dello stoner rock, beninteso) e anche la chitarra di Dango espone numeri di tutto rispetto, prodigandosi in partiture strumentali a tratti realmente notevoli; ciò che manca è la variatio.
 
Le canzoni, se prese una per volta, si lasciano ampiamente apprezzare; ascoltate, viceversa, l’una di fila all’altra tendono a mostrare in maniera equivocabile una certa piattezza e ridondanza di fondo che rende l’album duro da digerire. Eccessiva l’insistenza su ritmiche fin troppo compassate e anche le linee melodiche, pur globalmente interessanti, finiscono per assomigliarsi un po’ troppo l’una con l’altra; se a questo si va ad aggiungere la durata elefantiaca di buona parte dei brani (tre quarti d’ora di musica per sole sette canzoni tra cui un intermezzo), ecco che il quadro prende forma, con le sue luci ma anche con le sue ombre.
 
Tra le migliori vale certamente la pena citare la bella opener “Mindcontrol”, tra le più sintetiche e dirette al punto, così come l’altrettanto valida “Prophet”, portatrice sana di una delle migliori melodie di tutto l’album. Notevole (almeno a tratti) anche l’interminabile suite finale “Mastodont”, degna di menzione per i suoi echi progressivi quanto forse un po’ tirata per le lunghe sul piano dei contenuti. In mezzo tanti brani buoni/piacevoli ma nulla che faccia realmente saltare dalla sedia, soprattutto in rapporto a lavori meno quotati dal punto di vista “mediatico” ma più consistenti come quelli proposti dai quasi omonimi Monster Truck e dai Valley Of The Sun.
 
Gli amanti delle sonorità più “fuzzy” troveranno probabilmente pane per i loro denti anche tra i solchi di “Universe”, tuttavia per una band che si fregia del titolo di cui sopra, era forse lecito aspettarsi qualcosa i più…

Stefano Burini

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