Recensione: Värähtelijä

Di Andrea Poletti - 1 Marzo 2016 - 0:03
Värähtelijä
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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82

“Buio, silenzio e una clessidra gigante che ingloba il tuo corpo mentre ti giri su te stesso per comprendre dove tu sia finito degli spettri senza sostanza si avvicinano urlando, li senti passare attraverso di te. Cerchi di capire se sei vivo o molto più semplicemente immateriale. Ansimante, soffocato dalla paura inizi a vedere la sabbia che cade sino a ricoprire le ginocchia, non un minuto, non un’ora, nemmeno un’anno servirà a riempire l’antro del dolore nel quale sei misteriosamente caduto. La tua vita, la tua tua intera esistenza sarà cosparsa di sabbia che ciclicamente ti invoglierà alla perdizione dei sensi, alla ricerca dell’evasione dove il nulla diventa il tutto a discapito del ricordo di una morte che chiama i propri cari. Non puoi morire, sarebbe troppo facile. Il ticchettio di un orologio a distanza ti ricorda che è tempo di tornare ai tuoi valori di un tempo, ma i minuti vanno all’indietro e paradossalmente invecchi come prima mai ti era capitato. Pupille dilatate, freddo sulle mani, tremi e non riesci a riprendere coscienza. Solo, in un buio che annulla tu piangi chiedendo perdono ma l’orologio continua ad andare all’indietro, le figure che ti erano passate attraverso ora sono ferme sul precipizio del vivere come guardiani in attesa che tu ti svegli. Luce, fine del battito, applausi di scena.”

Un sogno lucido, una visione che intrappola e distrugge il mondo materiale che hai intorno, Värähtelijä è l’immateriale sonoro che tutti cercano nel disperdersi del vago divenire. Musica scritta e concepita con l’unico intento di sovvertire e distruggere le certezze che avevi del black metal. C’è un mondo fatto di non-sense li accanto a te, dove ciò che credi inconfutabile non esiste più, paradossalmente il concetto portante del metal estremo diventa parte inscindibile della contaminazione. Contaminare ed evolversi, ispirare ed essere ispirati con gli occhi e la mente che troneggiano sulla vetta del menefreghismo. Gli Oranssi Pazuzu confermano attraverso Värähtelijä che la non accettazione dei gusti altrui, il volere a tutti i costi proseguire lungo la propria strada, non curandosi del marasma che ci circonda ogni singolo giorno, è la base fondamentale per crearsi un proprio carattere, un carisma, un marchio di fabbrica che ci differenzia e ci rende unici. Fortunatamente questo quarto album è la riprova definitiva che non ci stavano prendendo in giro, non v’era nulla di costruito negli album precedenti, ora comprensibilmente descrivibili quali trampolino di lancio per quella che oggi è considerabile quale “Magnum Opus” dei Finlandesi. 

Valonielu era ed ancora oggi un ottimo album, un trip che ci portava nei meandri nascosti al percepibile; come da prassi l’evoluzione e la progressione sono un monito per alcune band che cercano di esplorare il conosciuto, il passo successivo come un battito di ciglia nasce spontaneo e senza forzature. Värähtelijä ci introduce in un mondo fatto di incubi, di uno spazio tempo che si allarga e modella sulle coordinate musicali delle sette tracce qui presenti. Sessantanove minuti e tredici secondi di trip mentale come poche volte è stato possibile creare negli ultimi anni, un album fatto per distruggere la mente e risplendere nel buio, come il metaforico tunnel in copertina che invoglia ad avvicinarsi con un brivido lungo la schiena che incuriosisce e distruba. Non ci sono tracce singole da raccontare, non ci sono passaggi da descrivere, nemmeno il dizionario italiano fornisce parole corrette per poter figurare al meglio ciò che si prova ad un ascolto in cuffia, con l’atmosfera giusta di questo full-lenght. Per chi ama le sonorità eteree, psichedeliche, immerse di malessere e non-curanza quest’album è l’insieme di tutto; la paralisi creativa che si incanala nel mondo occidentalizzato per distruggere ogni genio ed artista, al fine di renderlo pari a zero, è qui disintegrata. Come “L’impero delle luci” di Magritte ci accorgiamo che il buio ci circonda e siamo soli sotto quel lampione, inconsapevoli che sopra di noi v’è luce; ignari e fermi nelle nostre posizioni non riusciamo mai a guardare oltre ciò che i nostri occhi vogliono farci vedere. Värähtelijä è quel buio che ti acceca, uno dei sensi che svanisce silenziosamente senza far rumore, uno svanire così dilatato che nemmeno lo si perpesce; più si ascolta l’album e più quel misero lampione al centro del dipinto nella nostra mente si spegne e diventa una falena nell’oblio più corposo. Lunghi brani che variano dai cinque sino ai diciassette minuti di lunghezza, esperienze uniche che necessitano di molteplici ascolti per riuscire a prendere forma e farne tesoro. Si possono trovare tracce degli ultimi Enslaved, i Nachtmystium del periodo Assassins, gli Hail Spirit Noir che si mescolano con i Ved Buens Ende attraverso virgole di Krautrock; quello descritto è un mondo aperto a pochi privilegiati/sfortunati. Il cantato di Jun-His (al secolo Juno Vanhanen) riecheggia negli abissi, come provenisse da un luogo remoto rinchiuso nella mente del malcapitato, dove lento e soffocante ci accompagna attraversano screaming graffiante ,quasi stesse recitando una messa dove uno spirito irrequieto che tenta di impadronirsi della tua psiche. Un lavoro di chitarre da parte del gruppo che sfiora la perfezione, per i canoni del genere, riesce a confrontarsi con una batteria ipnotica fondendo ritmiche di per se impossibili da paragonare. Mondi distanti che si uniscono creandone uno autoctono dove non v’è speranza, non ci sono uscite di sicurezza.

Un gruppo fuori dagli schemi per un album fuori dall’ordinario, la riprova che gli Ornassi Pazuzu sono in netta controtendenza con il classico black senza mai sforare, facendone ancora parte orgogliosamente. Un  contesto musicale di difficile appiglio che se preso con le giuste dosi regala ondate pachidermiche di sublimazione spirituale. Non ci sono altre parole da aggiungere, non si può descrivere “normalmente” Värähtelijä se non chiedendo di ascoltare, con l’attenzione che merita, senza pregiudizi ma con il solo desiderio di dimenticare il creato artificiale lasciandosi travolge dal mare di sabbia che rintocca l’infinito.

“Occhi aperti, ti svegli sudato e ansimante, credi che l’incubo si finito ma non ti accorgi che stai cadendo, senza dimensione senza contrastare la forza degli elementi rimani rinchiuso in un vortice di dolori. Lì devi concepire il trascorrere del tempo in solitudine, lì soffrirai, lì chiederai aiuto ma nessuno accoglierà la tua richiesta mentre invecchi e regali il tuo ricordo alla polvere che balla a ritmo del vento.”

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