Recensione: Våran Tid är Förbi

Di Alessandro Cuoghi - 22 Luglio 2010 - 0:00
Våran Tid är Förbi
Band: Svart (Ita)
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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66

Ferale, ipnotico e silvestre Depressive Black Metal. Nessun compromesso, nessuna via di fuga.

Con questo “Våran Tid är Förbi” (“Il Nostro Tempo È Passato”) gli svedesi Svart, one man band composta dal polistrumentista Draug e completata dal session drummer K, rendono chiari sin da subito i propri intenti espressivo/comunicativi, creando una dimensione musicale dove la negatività iconoclasta, l’abisso spirituale e la solitudine si configurano come leggi assolute ed ineluttabili. L’intero album si configura come un vortice dannato, costituito dal continuo frusciare di chitarre distorte, vocals digrignanti e da un blast beat quasi acefalo, costante e spietato (cosa che può essere un bene per alcuni un male per altri). L’assenza pressoché assoluta del basso, anzi dei bassi in generale, ci ricorda lontanamente la sonorità di capolavori del Black puro di scuola Darkthrone, fusa in modo consapevole con qualcosa di simile a quanto fatto da Varg Vikerness nei primi anni di attività del progetto Burzum.
Durante l’intero percorso dell’EP, costituito per la cronaca da tre brani della durata altalenante tra i tredici ed i ventisei minuti, più l’intera prima demo della band in veste di bonus tracks, non si intravede nessuno scorcio di luce, nessun momento d’aria, solo il buio, opprimente ed incassato in un’angusta catacomba. Anche il monicker della band non lascia spazio a dubbi o digressioni, Svart infatti è il termine svedese per descrivere il nero.

Il primo brano, “Den Absoluta Tomheten” (“Il Vuoto Assoluto”), basato su riff veloci e malinconici, dimostra la chiara e lampante influenza che la band di Fenriz e Nocturno Culto ha avuto sul mastermind Draug.  Una ripetitività intrinseca, ostentata nel tentativo di seguire le orme di coloro che il genere l’hanno inventato, rende il pezzo altamente claustrofobico e delirante. Vocals rarefatte ma a modo loro amalgamate al contesto corredano a dovere l’atmosfera suicida del brano.
La traccia si chiude con un lungo arpeggio riverberato, dove chitarre lontane si incrociano nella nebbia, trasportando l’atterrito ascoltatore verso il successivo enorme macigno compositivo: “Mot Dödens Slätter” (Nelle Pianure Della Morte), della titanica durata di ventisei minuti.
Nonostante in questo caso la struttura del brano sia discretamente articolata e vi sia una più sensibile presenza del basso, le coordinate stilistiche si assestano comunque sugli standard del precedente episodio, rimanendo saldamente ancorate alla tradizione del Black più puro e oltranzista.
Durante l’interminabile brano si intravedono buone idee e discreti spunti atmosferici, a dire il vero però, un po’ troppo annacquati in quello che verrà percepito dalla maggior parte del pubblico Metal come un angosciante supplizio musicale della durata di quasi mezz’ora.

Risulta a questo punto ovvia l’attitudine totalmente anticommerciale della band, che dimostra di preferire il proprio universo sonoro ai limiti stilistico-compositivi dettati dal music businnes.

Il disco si conclude discretamente con “Dessa Kedjor, Dessa Bojor” (Queste Catene, Questi Ceppi), canzone depressiva pura, più lenta e socialmente accettabile rispetto alle precedenti, nonostante la solita durata considerevole. In questo caso le influenze di scuola Burzum si fanno più marcate grazie ad un incedere lento e malinconico, quasi orecchiabile. A conclusione del brano troviamo un triste arpeggio accompagnato da disperati vocalizzi che richiamano lontanamente il sound dei compatrioti Shining (in versione “The Eerie Cold”), sebbene il gap tecnico e stilistico resti per ora invalicabile.

Sembra doveroso a questo punto spendere due parole anche sulle bonus tracks, costituite dall’intera demo “Då Allt Upphör” (Quando Tutto Cessa) del 2008.
L’aspetto singolare di quest’ultima parte del disco è che la voglia di sperimentare, al fine di definire un sound proprio e  personale, emerge in modo decisamente superiore nei brani estratti dalla succitata demo rispetto a quanto proposto nell’EP recensito in questa sede.
La vena depressiva è sempre presente, tuttavia l’utilizzo più elaborato delle di chitarre ed alcuni cambi di tempo ed atmosfera rendono il tutto decisamente più diretto, originale ed assimilabile (nonostante una produzione amatoriale a dir poco orripilante). Il frequente utilizzo del growl conferisce inoltre un rigore catacombale ai down tempo, inoculando nella proposta anche una vena Doom di discreta fattura.

Ad ascolto ultimato, risulta infine chiaro come gli Svart sappiano svolgere il proprio compito a dovere, pur non inventando nulla di nuovo e non aggiungendo molto alla già ultrasatura scena depressive nord europea. La produzione decisamente underground, in grado di conferire al prodotto un’aura True Black a tutto tondo, non dispiacerà ai fan del settore, tuttavia, a mio avviso, se la band avesse affinato lo stile appena abbozzato nella demo, elaborando un sound più personale e meno derivativo, avrebbe potuto conseguire risultati nettamente superiori.

Consigliato agli appassionati del genere.

Alessandro Cuoghi

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Lineup:

Draug: all instruments, vocals
K: session drums

TRACKLIST

1. Den Absoluta Tomheten    
2. Mot Dödens Slätter    
3. Dessa Kedjor, Dessa Bojor

bonus tracks dalla demo “Då Allt Upphör”

4. Ångest (Intro)        
5. Då Allt Upphör        
6. Ändlöst        
7. Låt det Ske   

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