Recensione: Vacant

Di Tiziano Marasco - 23 Luglio 2015 - 1:05
Vacant
Band: Ashbringer
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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67

Sempre attento a quanto prodotto dalla nostra Avantgarde music, ho pensato bene di dare un ascolto agli Ashbringer. Non si sa mai, ci può scappare non dico un nuovo Linear Scaffold, non dico un altro Waltzing Mephisto. Ma quantomeno un bel dischetto estremo potrei portarlo a casa. Vedo black. Cerco info sulla band e, puntualmente, non trovo nulla. Niente storia su facebook né bandcamp, quindi, al solito, non posso che ricorrere all’imprescindibile Encyclopedia Metallum. Laddove scopro che gli Ashbringer sono, o meglio è, una one man band statunitense del Minnesota. Titolare del progetto è Nick Stranger, che suona tutto, canta e rutta, forte della sua tenera età. 18 anni. La cosa produce sensazioni contrastanti, perché black metal underground statunitense lo rimandi al mitico Ashen Eidolon, ep senza seguiti  dei mitici Gallowbraid, one man band diciottenne invece ricorda i decisamente meno epocali primi passi dei (di) Glittertind.

Procedendo all’ascolto emerge comunque un buon black metal atmosferico, ma pure duro, ruvido, con una produzione molto anni Novanta. Ethereal Aura richiama alla mente gli indimenticabili In the Woods, sicché ad un primo ascolto chi ha sentito quella band avrà un autentico colpo di fulmine. L’ottima impressione suscitata dall’apripista in due parti non abbandona durante tutto il disco, che trova un altro vertice  nella conclusiva monumentalità di Bitter e una piccola gemma nella semplicità strumentale di Lonesome.

Il procedere degli ascolti mette in evidenza però anche alcuni limiti di questo Vacant, dovuti principalmente all’esperienza. In particolare, a dispetto di un indubbio abilità nel connubio di riff compatti e break atmosferici, sembra che il songwriting abbia bisogno di essere raffinato. Scorre il tempo e il gap con gli In the Woods si fa piuttosto sensibile, pur tuttavia non inficia molto una prova più che sufficiente.

Bisogna fare i complimenti al giovanissimo Stranger per il lavoro filologico compiuto, bisogna anche riconoscergli di aver saputo creare una proposta buona, non macchiata dalla voglia di strafare  e di mantenersi sempre sobrio e neppure troppo scontato. L’augurio comunque, è quello di sentire nelle prossime uscite un sound meno vincolato ai maestri. Col tempo, riteniamo, lo statunitense acquisirà maggior sicurezza e una propria identità e, nel migliore dei casi, saprà dar vita anche a qualcosa di originale. La speranza del bel dischetto è stata esaudita. Bell’inizio.

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