Recensione: Vanitas

Di Emanuele Calderone - 15 Ottobre 2012 - 0:00
Vanitas
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Anno: 2012
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77

Gli Anaal Nathrakh fanno parte di una ridotta cerchi di artisti impossibili da odiare. Folli e sregolati come pochi altri, i due inglesi hanno sempre proposto la propria musica con una dedizione e con un’integrità intellettuale che ha davvero del sensazionale.
Alfieri di un black metal feroce sporcato da tinte grindcore, il polistrumentista Irrumator e il cantante V.I.T.R.I.O.L. tornano a calcare le scene musicali ad un solo anno di distanza dal precedente, ed eccezionale, “Passion”. In “Vanitas”, questo il titolo scelto per il settimo e fin’ora ultimo nato, il combo, pur procedendo a grandi linee sulla strada tracciata dai passati lavori, predilige un approccio per certi più accessibile e più morbido. Non temete però, il duo di Birmingham non ha dimenticato né rinnegato le proprie radici: i brani ruotano quasi tutti attorno a un riffing estremamente tagliente e serrato, sostenuto costantemente da una base ritmica che scandisce tempi a velocità da ritiro della patente.
I brani, che comunque mantengono la loro proverbiale cattiveria, presentano un’ossatura leggermente più elaborata rispetto al passato: nonostante il minutaggio delle singole canzoni non vada mai oltre i 5 minuti e 7 secondi di “Feeding the Beast”, il duo si dimostra abile nel creare strutture piuttosto variegate e coinvolgenti.

A “Pulvis et umbra sumus” viene affidato il compito di introdurre l’ascoltatore a “Vanitas”. Già da questo primo pezzo emergono tutti gli elementi tipici che tanta fortuna hanno portato agli inglesi: drum-machine sparata a tutta velocità, riff taglienti come rasoi che si alternano l’un l’altro e, a incorniciare il tutto, la solita voce abrasiva di V.I.T.R.I.O.L, capace di convincere sin dalle primissime battute. Pur non brillando particolarmente in quanto ad originalità, “Pulvis et umbra sumus” rappresenta indubbiamente un antipasto più che gradito.
In Coelo Quies. Tout Finis Ici Bas” presenta tratti più vicini al grindcore più selvaggio e brutale, sebbene non manchino vaghe influenze al limite del thrash, rintracciabili soprattutto in certe linee di chitarra.
Nella successiva “Todos Somos Humanos” si cominciano a scorgere quelle aperture melodiche che privano quest’opera dalla cattiveria primordiale che aveva caratterizzato le precedenti uscite della band. Tali passaggi riescono a facilitare enormemente il processo di assimilazione, rendendo il cd decisamente più abbordabile.
Da qui in poi sarà un continuo alternarsi tra episodi più “estremi” e altri leggermente più melodici. Nella prima categoria rientrano tracce quali “You Can’t Save Me, so Stop Fucking Trying”, dotata di un irresistibile piglio industrial, o ancora “Of Fire and Fucking Pigs”, estremamente standard ma non per questo banale; nella seconda si possono apprezzare song quali la sinistra “Make Glorious the Embrace of Saturn”, o ancora l’eccellente “Feeding the Beast”, piuttosto che la conclusiva e atipica “A Metaphor for the Dead”, nella quale le influenze industrial tornano a farsi sentire con prepotenza.

Tutto bello e perfetto verrebbe da pensare. Sbagliato. Pur se formalmente perfetto, potente, aggressivo e indubbiamente affascinante, “Vanitas” presenta un piccolo neo. Sembra infatti che i Nostri, una volta trovata la formula perfetta, non abbiano più intenzione di apportare cambiamenti fondamentali alla proposta. Ciò rischia di vanificare un poco l’ottimo lavoro in fase di arrangiamento, rendendo l’opera un po’ troppo simile a quanto già fatto. Un punto d’ombra dunque che senza influire troppo negativamente sul voto finale, potrebbe lasciare l’amaro in bocca a qualcuno.

A risollevare la situazione ci pensano però la solita prestazione maiuscola offerta agli strumenti da V.I.T.R.I.O.L e Irrumator, due vere e proprie macchine da guerra di una precisione invidiabile. Nonostante non si faccia quasi mai ricorso a virtuosismi strumentali di alcun tipo, i due musicisti non sbagliano una nota, dimostrandosi a proprio agio in ogni situazione.
A ciò si aggiunga la consueta e perfetta scelta dei suoni, compressi al massimo, con chitarre sature e zanzarose, una batteria volutamente artificiale e, non ultimo, lo scream filtratissimo.

Vanitas” è dunque un album estremamente ricco ed appassionante. Sebbene si posizioni un gradino più in basso rispetto a capolavori quali “Hell is Empty and the Devils are Here” e non presenti novità di rilievo, l’opera si attesta comunque su livelli qualitativi notevoli. Se siete amanti di tali sonorità non fatevelo assolutamente sfuggire, ne rimarrete soddisfatti, promesso.

Emanuele Calderone

Tracklist:
01- The Blood-Dimmed Tide
02- Forging Towards the Sunset
03- To Spite the Face
04- Todos Somos Humanos
05- In Coelo Quies, Tout Finis Ici
06- You Can’t Save Me, so Stop Fucking Trying
07- Make Glorious the Embrace of Saturn
08- Feeding the Beast
09- Of Fire, and Fucking Pigs
10- A Metaphor for the Dead

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