Recensione: Venice in Vain

Di Simo Narancia - 3 Agosto 2006 - 0:00
Venice in Vain
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Genere:
Anno: 2004
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80

Il nome Venice in Vain probabilmente dirà poco a molti di voi. Onestamente diceva poco pure a me, prima di imbattermi in questa loro prima ed omonima fatica in studio. Ma d’altra parte i Venice in Vain non sono ancora nel rooster di nessun’etichetta e di conseguenza non godono di tutta la spinta promozionale necessaria e, lasciatemelo dire fin da subito, è un vero peccato. Come si apprende dalla biografia presente sul sito ufficiale, il gruppo si forma intorno al 1997, in quel di Torino, grazie a Omar Vestri (voce, ex-Elegacy) e Paolo Angelillo (batteria, ex-Elegacy). I problemi sono quelli di tutte le band agli esordi: trovare musicisti capaci e convinti e affinare le proprie capacità compositive. Tra una bega e l’altra (la più insolita vede Angelillo passare dalla chitarra alla batteria, con buon profitto) i Nostri arrivano a completare la line-up con Danilo Bar (White Skull, Elegacy) alla chitarra, Mary Caliò alle tastiere e Valerio Lo Cascio al basso (posto attualmente occupato da Miro Jayme). E così nell’estate del 2003 è registrato il lavoro di cui andremo a parlare.

 

Questo che mi ritrovo a recensire è, nonostante sia solo un esordio (autoprodotto per di più), un lavoro maturo e ben sviluppato. Innanzitutto c’è da dire che si tratta di un concept album, incentrato su un tema tanto duro quanto drammatico: la Seconda Guerra Mondiale, con particolare riferimento alla follia di Hitler e del suo regime e quindi alla tragedia nella tragedia vissuta dal popolo ebraico. Dal punto di vista musicale invece siamo di fronte ad un heavy metal piuttosto classico, arricchito ed impreziosito da consistenti elementi sinfonici e progressivi: i brani sono lunghi, ben articolati e descrivono alla perfezione i vari momenti della storia. Per trovare un paragone con un gruppo famoso potremo pensare ai Savatage, ma più che per una somiglianza stilistica (che pure salta fuori in alcune situazioni) direi per l’approccio teatrale e quasi operistico con il quale è stata affrontata la composizione.

 

I primi tre brani introducono l’ascoltatore in un clima deprimente e senza speranza: l’ouverture iniziale, completamente strumentale, è l’inquietante preludio a quanto avverrà in seguito; la lunga Falling Apart è power nella descrizione dei bombardamenti, del mondo che crolla intorno e malinconica e struggente nel momento della separazione dall’amore di tutta una vita; Memories, un uomo solo, il dolore, la fine di tutto e il ricordo dell’ultimo momento felice (vissuto con la propria compagna) che prende vita nella sua mente. Un brano musicalmente vicino alle rock-opere che sfocia nel famoso tango de “La cumparsita”. Holocaust è invece la lunga suite, divisa in otto movimenti (sette dei quali senza soluzione di continuità), nella quale si sviluppa sostanzialmente il concept. Un turbinio di sensazioni musicali, che spaziano un po’ ovunque nel metal: accelerazioni symphonic-power, marce epiche e “demoniache”, delicati interludi e malinconiche divagazioni progressive, il tutto sempre ottimamente calibrato e adatto alla situazione descritta.  Si passa così dalla perdita della speranza e (quasi) della fede e all’annientamento della dignità di vivere dei deportati (Silently), al folle e lucido delirio del dittatore, in “trance” davanti alla folla inneggiante (The Perfect Race); c’è il popolo inerme, costretto ad inginocchiarsi al volere del dittatore, e i militari fin troppo zelanti e spietati nell’assecondare il loro condottiero (A Weak Voice e Law and Order); si assiste alla rivolta, alla resistenza e alla definitiva sconfitta delle forze armate tedesche (Resistance). Infine si arriva a vivere l’alba del nuovo giorno, con la speranza di vivere in un mondo migliore e la convinzione di poter costruire un mondo migliore (A New Day).

 

Le prestazioni dei singoli sono molto buone e in particolare mi sento di citare Omar Vestri che, oltre ad essere il principale compositore, offre una prova sentita, versatile e potente dietro microfono, e Danilo Bar veloce, preciso ma anche pieno di sentimento ed espressività durante tutti gli assolo. L’unico piccolo appunto va alla presenza massiccia e talvolta invadente delle tastiere: in alcuni momenti avrei preferito infatti un intervento più contenuto e discreto (nulla da dire invece sulla bravura di Mary Caliò con lo strumento), ma in fondo sono piccolezze legate ai gusti personali. Molto buona anche la produzione e il mixaggio ad opera dello stesso Paolo Angelillo nel suo studio personale, un’altra dimostrazione che questi ragazzi ci sanno fare davvero e della professionalità con cui hanno confezionato quest’opera.

Ottimo debutto dunque che lascia solo una speranza: che siano messi sotto contratto al più presto, così da non perdere un’altra preziosa gemma del metal tricolore.

 

Nota: sul sito sono presenti alcuni mp3 e tutte le informazioni per reperire questo cd.

 

 

Simo Narancia

 

 

Line Up

 

Mary Caliò (piano, tastiere)

Omar Vestri (voce, cori)

Danilo Bar (chitarra, cori)

Paolo Angelillo (batteria, cori)

Valerio Lo Cascio (basso)

 

Track list

 

1)   Overture

2)   Falling Apart

3)   Memories

 

  Holocaust

4)   November 9th 1989

5)   Prelude

6)   Silently

7)   The Perfect Race

8)   A Weak Voice

9)   Law and Order

10) Resistance

11) A New Day

 

12) Falling in Piano (bonus track)

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