Recensione: Veritas Odium Parit

Di Daniele D'Adamo - 9 Dicembre 2012 - 0:00
Veritas Odium Parit
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Anno: 2012
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63

La musica non conosce confini e questi Arcanum Sanctum ne sono un esempio lampante. Provenienti dalle lontanissime lande dell’estremo oriente della Russia, con il loro “Veritas Odium Parit”, album d’esordio, dimostrano di aver assimilato appieno le lezioni a suo tempo date da ensemble leggendari quali In Flames, Dark Tranquillity e Paradise Lost. Anche nelle terre gelide della regione di Khabarovsk Krai, nella città di Komsomol’sk-na-Amure, a metà strada fra la Cina e il Mar del Giappone, c’è qualcuno che, quasi incredibilmente, s’imbarca nell’impresa di dar vita a una band di melodic death metal.

Un melodic death metal che ha in sé tutte le caratteristiche necessarie definirlo in tal modo: growling graffiante, agile e sciolto; guitarwork ritmicamente potente ma ricco di fini arabeschi solistici; drumming vario e scoppiettante, raramente impegnato a valicare i confini del blast-beats. Il tutto rifinito con le tastiere, mai invasive ma anzi deputate a disegnare un sottofondo tanto semplice quanto gradevole. A questa connotazione di base, I Nostri aggiungono – forse per la fredda provenienza geografica – degli elementi più tipici del gothic metal. Più che di elementi veri e propri si tratta di umori, sensazioni, sentimenti; piegati con decisione – come peraltro lascia ben intravedere lo stile dell’artwork – verso una sommessa malinconia, una triste consapevolezza dell’essere. Un mood opposto a quello più estroverso ed espansivo dello swedish death metal, e che per ciò dona al sound degli Arcanum Sanctum una sufficiente personalità e una discreta riconoscibilità. Non di più, però, poiché essi, sicuramente bravi nel saper maneggiare i propri strumenti e nell’eseguire i brani con lodevole professionalità, alla fine non propongono nulla né d’innovativo, né di sperimentale: la tradizione è un concetto ben saldo, nelle teste e nelle mani di Vadim “Sad” Nalivaiko e compagni, per cui le spinte progressiste possono benissimo essere lasciate ad altri.

Oltre a ciò appare un po’ discontinuo il songwriting, incapace di mantenere, lungo la mezz’ora di durata del disco, la necessaria consistenza stilistica; altalenando fra momenti di grande ispirazione emotiva e segmenti in cui il discorso complessivo diventa piuttosto anonimo. Seppur semplice e lineare, e quindi astrattamente ben propensa a essere assimilata con facilità, la musica degli Arcanum Sanctum si rivela invece ostica e difficile da mandare a memoria, come se fosse ‘troppo costruita’ e, quindi, poco spontanea. “The Explorer”, ‘perfetta’ nella sua manifattura, è proprio la dimostrazione di quanto sopra teorizzato: tutto è al posto giusto, niente è al posto sbagliato ma… nessuno, presumibilmente – a parte i membri dell’ensemble e i fan più accaniti – ne avranno memoria, in un futuro anche prossimo. Sulla stessa riga c’è anche “When Truth And Knife Unite”, più vicina all’aggressività di Anders Fridén e soci, specificamente nelle linee vocali, appunto. Lo schema della canzone rifugge da voli pindarici, e quindi si assesta sulla solita sequenza strofa-ponte-ritornello-ecc. Con la strumentale “Rain Imprints”, finalmente, gli Arcanum Sanctum mostrano della farina del loro sacco. L’incipit è dedicato a una morbida e dolce melodia, dal sapore melanconico, che regge il leitmotiv della song. “Beware The Dreamer”, in mezzo al suo ritmo possente e cattivo, propone qualche motivo d’interesse legato per di più alla veemenza dei soli chitarristici. Con “The Last Drops Of Sanity”, finalmente, il terzetto russo azzecca il pezzo vincente, il cui languido incedere si armonizza con decisione e personalità alle liriche note del gotico chorus; facendo sorgere il sospetto che, magari, il genere ‘naturale’ di Sad sarebbe proprio il gothic e non il death metal. “From Misery To Purpose”, invero anonima, ha tuttavia il pregio di spaccare le ossa con il suo ritmo accelerato sino alla follia dei blast-beats. Torna la calma grazie a “In Memory Of…”, seconda strumentale dall’anima struggente, romantica; con “My Butterfly” a chiudere le danze senza aggiungere né togliere nulla a quanto già fatto.

“Veritas Odium Parit” è un album più che sufficiente, in cui ci sono alcuni passaggi rilevanti in quanto a profondità emotiva e a melodiosità. Il contesto generale, nondimeno, è quello del dejà-vu e quindi ben difficilmente quest’opera potrà ritagliarsi un suo spazio nell’affollato panorama internazionale d’iniziative similari.  

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. The Explorer 3:50
2. When Truth And Knife Unite 4:17
3. Rain Imprints 3:20
4. Beware The Dreamer 4:12
5. The Last Drops Of Sanity 4:44
6. From Misery To Purpose 3:41
7. In Memory Of… 2:33
8. My Butterfly 3:42     

Durata 30 min.

Formazione:
Vadim “Sad” Nalivaiko – Chitarra/Voce
Kirill “kirk” Kulinichev – Basso
Viktor Reshetnikov – Batteria
 

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