Recensione: Verses

Di Marcello Catozzi - 28 Luglio 2016 - 19:33
Verses
Band: Rainveil
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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75

I RainVeil sono giovani talenti lodigiani (un territorio assai florido dal punto di vista della produzione musicale) che, dopo frequenti apparizioni live nei locali del Nord Italia, escono finalmente allo scoperto con il loro primogenito “Verses”.
Volendo fornire al lettore alcuni ragguagli di natura introduttiva, si può collocare la band lombarda in ambito Heavy Metal dai connotati Dark, pur con tutti i limiti che qualsiasi tentativo di etichettare un artista comporta. Nel caso di questo gruppo, in particolare, si può ravvisare una miscela formata da ingredienti di eterogenea provenienza: un retrogusto Power, un tocco di Prog e persino di Metal melodico/sinfonico.
Ma passiamo subito a dare il via al CD con il tasto Play: “Prologue – Into the Void” introduce malinconiche suggestioni grazie al connubio tastiere / ritmiche, che conferisce all’ascolto un’atmosfera alquanto mistica e sognante.

Con “Macabre Ecstasy” l’ambientazione si fa decisamente più corposa e più dark, percorsa da riff di discreta potenza e dominata da un refrain di epiche reminescenze. L’assolo chitarristico è di notevole spessore, e tutto il brano risulta sorretto da una base ritmica vigorosa e  completato da un piacevole accompagnamento orchestrale.
“Break out” è una cavalcata metal a tinte oscure, caratterizzata da certi riffoni di sabbathiana memoria e arricchita da sapienti tocchi di tastiere, che sanciscono l’armonica coesistenza di componenti heavy e sinfoniche, il tutto reso in stile piuttosto pomposo e sostenuto.

Elementi power emergono nella successiva “Drowned”, potente e ben costruita, sia nelle parti vocali (particolarmente ispirate e originali nei suoi contrappunti growl) sia nelle incalzanti ritmiche, sempre rocciose e potenti, senza cali di tensione.
In “Mirror” troviamo un delizioso arpeggio iniziale, che via via lascia spazio a un crescendo vigoroso. Questa traccia si rivela piuttosto variegata, per i frequenti cambi di ritmo e per la sua natura stessa, a metà fra ballad e power track, peraltro condita da un guitar solo ben articolato.
“Fire Opal” si apre con un invitante binomio chitarra / pianoforte, per poi disimpegnarsi agilmente attraverso un percorso ad ampio respiro, infarcito da cori ben rifiniti, da un aumento di ritmo nella parte centrale con le chitarre che la fanno da padrone; nel suo complesso il brano appare più addolcito rispetto ai brani precedenti, soprattutto per la presenza della voce femminile, che interviene a dare manforte a una vocalità forse non abbastanza incisiva e di peso.

Proseguendo nell’ascolto del disco, ci si imbatte in un inizio vagamente maideniano che introduce “Eleanore”, possente e solenne, decisa a imprimere il marchio RainVeil al brano, che ne riassume tutte le caratteristiche fin qui palesate: cori epici, groove bello spesso e penetrante in conformità con la tradizione metal / dark, oltre a un ottimo lavoro di chitarre e sezione ritmica.

“Shade of Darkness” si presenta caratterizzata da riff orecchiabili, con basso e chitarra sugli scudi, assecondati da pianoforte e chitarra in un bridge di grande spessore, che fa da preludio a una ripresa in grande stile.
L’ultima traccia, “Epilogue: is this the end?”, esordisce con le note delicate del pianoforte e una voce particolarmente ispirata, affiancata da cori e sottofondo di estrazione sinfonica: una degna chiusura dell’album, perfettamente in linea con i contenuti fin qui evidenziati.

Questo debut album, al suo primo ascolto, ha evidenziato una piacevole originalità di elementi, unita a una pregevole vivacità nell’intento di uscire da schemi fissi, pur nel rispetto della tradizione e della storia che ha dato lustro ai generi citati in premessa.
Da sottolineare, poi, un’attenta cura nelle liriche e negli arrangiamenti, e il particolare gusto compositivo nella coesistenza di tutte le componenti strumentali, mai esagerato o sbilanciato in un senso, anzi sempre ben calibrato ed equilibrato.

Il lavoro del quartetto lodigiano merita quindi un plauso, per aver dato alla luce un prodotto di qualità in un genere piuttosto “complesso” e di non facile approccio, e soprattutto per averlo saputo modernizzare in fase interpretativa e di produzione, con una buona dose di freschezza e genuinità.

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Il disco, registrato presso Simone Palladini’s Studio e Downtown Studio, è stato mixato e masterizzato da Simone Mularoni presso Domination Studio.

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