Recensione: Vertebrae

Di Alberto Fittarelli - 18 Ottobre 2008 - 0:00
Vertebrae
Band: Enslaved
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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75

La strada, gli Enslaved l’hanno imboccata con l’inizio del terzo millennio, lasciando gradualmente da parte le sonorità prettamente black, le asprezze scandinave, per accostarsi man mano alla psichedelia, all’atmosfera, alla malinconia, all’oniricità: album come Mardraum (2000, la loro svolta), Monumension (2001) o Below the Lights (2003) hanno modificato profondamente il DNA e l’immaginario su cui si basava un gruppo la cui immagine era scolpita a fuoco, forse troppo solidamente, nella mente dei fan; dischi come Isa (2004) e il suo “secondo capitolo non ufficiale”, Ruun (2006) hanno impresso quell’accelerazione definitiva, da cui ci si aspettava quasi che il gruppo derivasse la sua inerzia anche nel nuovo album. È andata così? Sì, e anche no.

Vertebrae è infatti psichedelico, progressivo e sperimentale in ogni sua singola nota, cè poco da fare. Sembra quasi che il pendio su cui gli Enslaved si sono incamminati ormai 8 anni fa si sia accentuato improvvisamente, eliminando l’inerzia di cui parlavamo in favore di una vera e propria spinta in avanti, che porta i norvegesi ad allontanarsi (definitivamente?) dalle sonorità estreme, in favore di un prog metal che molto ha in comune con gli ultimissimi Arcturus. Partiamo dalla struttura del disco: otto pezzi caratterizzati a livello strumentale dal riffing semplice, e dagli arrangiamenti non esagerati, a cui gli Enslaved ci hanno sempre abituati; pezzi in cui l’aggressione è presente, con la voce di Grutle Kjellson a farsi spazio tra chitarre e tastiere, per la prima volta quasi in difficoltà di fronte a vibrazioni ormai ben diverse da quelle portate dal suo ruvido, gracchiante timbro.

Dobbiamo infatti porre l’accento su Herbrand Larsen, tastierista che si è comodamente infilato i vestiti da background vocalist già da qualche tempo: bene, a partire da Vertebrae possiamo tranquillamente rimuovere il termine “background” dalla definizione. La sua voce, pulita, sognante e riverberata, è infatti onnipresente in un disco che basa su di essa gran parte della sua atmosfera finale, ed è anche uno dei punti di forza, indubbiamente, del sound degli Enslaved, A.D. 2008. C’è da preoccuparsi, considerato che Herbrand è uno degli ultimi arrivati sul drakkar? Mi ripeto: sì, e anche no.

Si preoccuperanno, anche se ormai rassegnati, i fan della vecchia guardia: perché, diciamolo chiaramente, anche i residui elementi viking sono ormai scomparsi dagli Enslaved, se non a livello di immagine e lirico, dove comunque si utilizzano questi temi in ambito universale, come metafore di un mondo da descrivere. Lo fa molto bene Grutle in un passaggio dell’intervista concessa a TrueMetal, quando introduce gli Æsir come termine di paragone, come spiegazione, e non in quanto tali; e lo fa molto bene anche la musica di Vertebrae, le sue canzoni. I pezzi non sono uniformi, né a livello strutturale né a livello qualitativo, mettiamolo subito in chiaro: si parte con un’accoppiata decisamente riuscita, che ricorda le cose migliori di Below The Lights e Isa, e le porta oltre grazie alla citata voce di Herbrand: Clouds e soprattutto la bellissima To the coast alzano subito le aspettative per un disco da cui ancora non sappiamo cosa aspettarci, grazie a un andamento epico, sì, ma lontano da scene di battaglia, di tempesta et similia. È come se stessimo vivendo un sogno vivido, e in esso tutto ci sembrasse assolutamente verosimile; come l’andamento lento, ancora una volta inconscio, di Center.
Al riffing ancora riconducibile a quanto di immutato è rimasto nel songwriting di Ivar Bjørnson si contrappongono, come si accennava sopra, break atmosferici  il cui arrivo è quasi prevedibile, e che collegano gli Enslaved agli Arcturus di Sideshow Symphonies: non viaggi spaziali, ma viaggi ben più terrestri sono quelli compiuti da Kjellson e soci, eppure sempre di viaggi si tratta.

Viaggi però non sempre riusciti, appunto: troppi passaggi sembrano quasi abbozzati, e all’orecchio di chi ascolta troppe volte le note suonano lievi, non imprimendo un segno forte, deciso nella mente. Brani come Reflection si perdono in cerebralismi un po’ fini a se stessi, senza quel riff o quello stacco che cambiano la marcia, e scivolano via lasciandoci ipnoticamente pronti ad ascoltare il brano successivo, senza ricordare molto di quello appena terminato; e finiscono troppe volte come la conclusiva The watcher, interrotti nel pieno del divenire. Chiaroscuri che contano, in un disco che si propone come nuova svolta: per quanto loro ne possano dire, è indubbio che la loro progressione, nel corso degli anni, ha seguito una linea ben precisa, e difficilmente vedremo passi indietro.

Ora si tratta quindi di capire quanto gli Enslaved potranno sviluppare, quanto riusciranno a infondere in un suono ormai non più unico, ma sviluppato con interessantissime derivazioni da gruppi come i Nachtmystium, per fare solo un nome recente; ormai il filo che li unisca al black metal è quasi evanescente, per quanto la voce di Grutle si erga a difenderlo: il loro è ormai un metal sperimentale, progressivo e ancora in viaggio verso la sua completa identità.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

   1. “Clouds” (06:09)
   2. “To The Coast” (06:27)
   3. “Ground” (06:38) [mp3]
   4. “Vertebrae” (05:01)
   5. “New Dawn” (05:23) [mp3]
   6. “Reflection” (07:45)
   7. “Center” (07:33)
   8. “The Watcher” (04:11) [mp3]

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