Recensione: Victims of Deception

Di Slayer - 5 Giugno 2003 - 0:00
Victims of Deception
Band: Heathen
Etichetta:
Genere:
Anno: 1991
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
80

Siamo nel 1991 e la scena metal sta prendendo nuove direzioni: cresce il fenomeno Death e Black mentre l’Heavy sta iniziando la sua fase discendente.
Stessa sorte tocca al Thrash che nonostante questi cambi di “tendenza” riesce ancora a regalare al suo pubblico qualche perla di genialità come Rust in Peace, Twisted into Form o Arise.
Tra gli ultimi successi thrash dei mosti sacri del passato si inserisce questo  “Victims of Deceptions” di un gruppo misconosciuto alla folla, gli Heathen. Il combo è formato, guarda a caso, da quattro simpatici guys della
Bay Area più una guest come bass player (Marc Biedermann). Per dare subito un idea di ciò che quest’album ci offre possiamo pensare ad un incrocio tra la voce squillante e melodica dei Forbidden ed il tecnicismo lungo, folle e granitico dei Dark Angel.
La produzione di Rob Beaton regge bene il gioco e nulla toglie a quella che risulta la potenza del sound degli Heathen. I testi sono fondamentalmente concentrati sulla denuncia della stupidità della gente e dello stato di sottomissione a cui essa è sottoposta dalla classe dirigente e dalla Chiesa.
 Tra le canzoni sicuramente da citare  è “Hypnotized” nella quale si alternano riff micidiali alla Glenn Avelais, parti acustiche alla Skolnich (vedi l’intro) e le melodie vocali di David White-Godfrey fobiche e acute alla Russ Andersson.
 Da citare anche la strumentale “Guitarmony”, una vera apoteosi chitarristica di assoli ultratecnici e talvolta suggestivi, alle asce troviamo infatti due validi personaggi: Lee Altus e Doug Piercy. Questi due luminari della chitarra si scambiano alla velocità della luce e con precisione impossibile assoli e parti ritmiche come solo gli Slayer sarebbero in grado di fare.
E’ incredibile come in mezzo a tutto questo furore thrash possano trovare sopazio episodi più crepuscolari come la semi-ballad “Heathen’s song” o “Prisioners of fate”. 
E’ tutto l’album a muoversi su questi ingredenti con l’aggiunta di un buon lavoro alla batteria di Darren Minter, le sue ritmiche sono molto varie e mai banali. Nel disco è presente un interpretazione tutta thrash della mitica “Kill the King”, brano storico dei Rainbow, la cover risulta piacevole e ben amalgamata con il resto dell’album.
Alla fine non possiamo che essere rammaricati del fatto che una band di tal valore, come tante altre, abbia concluso la propria carriera discografica con questo album alla sua sola seconda fatica. Purtroppo come già detto in precedenza il Thrash ormai aveva già dato quasi tutto e c’era bisogno di nuova originalità per vendere.
Ora fortunatamente la gente sembra essersi accorta di ciò che il passato ci ha regalato e molte band storiche si sono riunite.
Gli Heathen sono tra queste, si spera presto di vedere una loro nuova uscita, una dozzina di anni di attesa sono decisamente troppi.

 

Ultimi album di Heathen