Recensione: Victims of the Future

Di Abbadon - 23 Marzo 2005 - 0:00
Victims of the Future
Band: Gary Moore
Etichetta:
Genere:
Anno: 1983
Nazione:
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85

Secondo lavoro (negli anni ’80) e secondo azzeccatissimo centro. Solo questo potrei dire dello splendido “Victims of the Future” per descriverlo al meglio, voglio però darvi (per forza, sennò che recensione sarebbe?) qualche informazione in più di questa ennesima perla estratta dal magico cilindro del signor Gary Moore. L’album, che esce nel 1983, si presenta dopo aver passato una discreta varietà di eventi, sia positivi che negativi. Infatti, se è vero che il buon successo di “Corridors of Power” e il periodo di ispirazione (forse massimo in quegli anni) di Moore e compagni favorirono il brillante seguito, dall’altra parte la band era vittima dei pensieri di 2 dei suoi elementi quali Neil Murray e Ian Paice. I due, arrivati appena un anno prima a seguito di una delle tante “guerre interne” dei “loro” Whitesnake, si erano presto imposti come validissimi elementi, soprattutto dal punto di vista esecutivo. Non solo : grazie a loro anche la dimensione live della Gary Moore Band salì di tono, infatti il tour relativo a Corridors (dalle quali date giapponesi venne estratto il live “Rockin’ Every Night”) fu un gran bel successo per il combo dell’axeman irlandese. Però, guerre o non guerre, i Whitesnake c’erano ancora, e Neil in fondo era un serpente bianco. Avuta la possibilità di riaccasarsi a Coverdale, lascerà Moore durante le registrazioni di Victims per preparare “Slide it In”. Anche Paice, poco più tardi di Neil, tornerà al suo vero ovile, quei Deep Purple che nel 1984 videro la loro ennesima incarnazione.

Incarnazioni o no, fatto sta che Victims prende forma in questo periodo di indecisioni (unite a un cambiamento di line-up, ovvero Neil Carter per Tommy Eyre), rivelandosi comunque un prodotto di eccezionale valore e buon di successo commerciale (parliamo ovviamente di Regno Unito, visto che gli Stati Uniti conoscono Gary più no che si), testimone la posizione numero 12 delle classifiche Britanniche (e 172 di Billboard). Tale successo, qui come in altri casi, è strameritato e giustificato dalla qualità di un lavoro che molti non esitano a definire il migliore mai prodotto dal brizzolato chitarrista. Ormai siamo nel pieno della vena hard’n’heavy di Moore che qui fa un lavoro magistrale, fondendo come in pochi altri casi riff taglienti e massicci a una pulizia e una melodia dal togliere il fiato. Esempio brillante di questa fusione ci viene dato già dall’opener, la titletrack, che, dopo una partenza dolcissima, ci assale con dei riffs a dir poco quadrati, forieri di un mid tempo semplicemente grande (e anche lungo, come tutte le song qui presenti). Punti di forza di Victims sono proprio il riff e l’assolo, dove la Les Paul si comporta di par suo. Decisamente meno impegnata (e un po’ meno bella), ma comunque più che godibile è la seconda “Teenage Idol”, song scanzonatissima da ballare in tutta la sua interezza, visto che l’atmosfera blues/rock’n’roll  sprizza letteralmente da tutte le sue note. Da sballo il ritornello, culmine di una gemma certo diversa da quella che ci si aspetterebbe da Moore, ma pur sempre gemma. Tempo di cover, e dunque spazio a “Shape of Things to Come” degli immortali Yardbirds, rielaborata in chiave un pò più possente, ma non per questo priva di fascino (anche se personalmente reputo meglio l’originale). Dopo tre componimenti decisamente spigliati arriva il momento nel quale Gary ci ricorda tutta la sua polivalenza e il suo sentimento, espresso qui dalla lenta “Empty Rooms”. Non c’è molto da dire se non che siamo davanti a un brano letteralmente magistrale, che trasuda malinconia da ogni singolo arpeggio. clamorosa l’atmosfera che si crea nel commovente pre-refrain (un pò meno nel ritornello, enfatico ma forse la parte meno affascinante della song), mentre è semplicemente divina la parte strumentale, con dei giochi chitarra/tastiera da pelle d’oca. Totalmente diverso il discorso da fare per “Murder in the Skies”, sì altrettanto bella, ma vera e propria cavalcata nel più selvaggio hard’n’heavy. Canzone che ha per tema una famosa tragedia dei cieli, nella quale un aereo di linea coreano venne abbattuto da dei jet russi, Murder è una perfetta riproduzione (se mai si può dire per eventi così) musicale dell’episodio. Riff terrificanti, che fanno venire ansia ma danno anche una sensazione di potenza non comune, testi precisi e ben scritti e durezza sonora come poche sono gli ingredienti fondamentali per un heavy rock di categoria 5 stelle, forse il migliore di tutto il platter. Platter che vede la sua prima battuta d’arresto (prendetela con le pinze) in “All I Want”. Intendiamoci, la canzone è bella, mi ricorda molto lo stile dei primi Aerosmith (specie in sede Riff), il che è senza dubbio garanzia di qualità, però non riesco a trovare una collocazione adatta alla song nel disco, il che mi mette in difficoltà (spesso infatti “skippo” la traccia perchè nei momenti in cui sento Gary, per quanto bravo a fare tutto, sono portato ad ascoltare musica diversa da quella proposta in “All I Want”). Nulla di grave comunque, arriviamo lo stesso indenni alla splendida “Hold on to love”, mix fra la tipica musica di Moore e delle tastiere accompagnatrici che ricordano la scuola class di fine anni ottanta. La sostanza è più che buona, grande antipasto per la closer “The Law of the Jungle”, traccia atipicissima, non facile da descrivere perchè eseguita proprio in maniera strana (bassi gli strumenti, voce a tratti modificata, molti effetti sonori in sottofondo), maniera che però non mi attira moltissimo. E’ senza dubbio vero che fascino e gusto ci sono (soprattutto nel ritornello), preferisco però altri brani del platter, credo per gli stessi motivi che mi portano a skippare la già citata “All I Want”.

Da quando ho avviato il lettore cd Sono passate solamente 8 tracks ma ben 43 minuti, minuti di classe, raffinatezza, potenza, eclettica. Eh si, perchè Gary Moore è proprio questo, una perfetta sintesi delle parole appena digitate. Difficile trovare un disco migliore di questo nella sua carriera, personalmente lo metto alla pari con Corridors of Power, che forse preferisco in quanto un pò più omogeneo. Certo è che se le “sfide” fra albums sono così c’è di che stare allegri. Grande Gary.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Corridors of Power
2) Teenage Idol
3) Shape of Things to Come
4) Empty Rooms
5) Murder in the Skies
6) All I Want
7) Hold on to Love
8) The Law of the Jungle

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