Recensione: Villanden

Di Alessandro Zaccarini - 16 Febbraio 2009 - 0:00
Villanden

Dove cazzo mi sono appena svegliato? Comincia così il nuovo album dei Trollfest, con l’interrogativo più che lecito di chi ha appena ripreso conoscenza dopo le due mazzate alcoliche di ‘Wilkommen folk Tell Drekka Fest!’ e ‘Brakebein’, folli ambasciatori di una stravaganza musicale che aveva segnato esordio e conferma di questo manipolo di pazzoidi norvegesi.

Reduci dalla storia di Brakebein – un capo troll alla ricerca di una birra dal gusto leggendario, tra pirati, un mostro marino che diventa la portata principale della cena e sacerdoti cristiani che poco dopo fanno la stessa fine – i Trollfest si ripresentano nel segno di un’indemoniata anatra esplosiva…

Il primo incontro di questa nuova avventura è con Der Jeger Meister, il signore della caccia, abile tra i boschi quanto a sollazzare la gola. Il suo passaggio in questa sede non lascia il suo inconfondibile sapore aromatico… ma di sicuro ci presenta le intenzioni dei Trollfest senza troppi giri di parole. I nostri si staccano infatti immediatamente da tutto il panorama folk che ha dominato le scene in questa ultima decina d’anni e riprendono la loro solitaria strada. Manca la nitidezza logica delle strutture rotonde e quadrate dei Korpiklaani o degli Otyg, assolutamente inadatte alla schizofrenia ritmica dei Trollfest. Abbandonano l’amata polka, struttura scelta da diversi dei colleghi finnici come schema principale e si gettano in un patrimonio che pesca a piene mani dalle veloci cadenze slave e progressive, con cambi di ritmo e continui passaggi tra battere e levare. Raddoppiano, dimezzano, virano, cambiano il taglio ritmico come un folle ubriaco che corre in fuga da un pericoloso nemico immaginario.

Stessa sorte tocca alla spedita Festival, dove le melodie slave raggiungono forse l’apice – insieme a Das Uhr ist Skandalåst Schøndlich – con le svelte evoluzioni d’arco. L’idea è di amplificare melodie e parti vocali per arrivare a una bolgia strumentale e vocale, un’evolversi per espansione che porta alla rinuncia quasi totale di quella disperata ricerca di atmosfera di cui i Finntroll sono assoluti maestri. Nella musica dei Trollfest manca quella struttura di supporto a carattere sinfonico, quella generosità di orchestrazioni e cori che nella band di Skrymer & Co. rimane spesso e volentieri l’unico elemento esterno e dominante a cavallo di strutture ritmiche costruite dall’amalgamarsi di classico basso/chitarre/batteria. Una risonanza e persuasività che conferisce una profondità che non ritroviamo nei Trollfest, attenti invece ad altre frequenze – tanto che talvolta la batteria è appena udibile, mentre mancano i bassi bathoriani di moltissime altre band del genere.

Cosa dire di God Fart, “a tutta velocità”, in norvegese (e infatti ci troviamo di fronte a uno dei brani più repentini e veloci dell’intero disco) ma di significato ben diverso se letta in lingua inglese. Ce lo ricordano anche i Trollfest in quei due minuti scarsi in cui galoppano felicemente ad alta velocità, senza dimenticarsi di inserire qua e là qualche pernacchia per celebrare il blasfemo gioco di parole. Il salto concettuale a Per, Pål og Brakebeins Abenteuer è breve, quello musicale opposto. ‘Pietro, Paolo e le avventure di Gambarotta’ è un breve e lento valzer da osteria a voce e fisarmonica che si va a posizionare proprio dopo la title track Villanden. Il brano che da il titolo al disco è sicuramente tra le cose migliori del lotto e della discografia di questi artigiani musicali norvegesi, sviluppato tra intrecci di cassa terzinata e l’allegro starnazzare che ci riporta alla memoria i “wof wof wof” di ‘Helvetes Hunden Garm’, prima grande “hit” della band in questione.

Un altro motivo degno di nota dell’assoluta novità strutturale dei Trollfest è la loro singolarità e capacità di diversificarsi in maniera profonda da chi li ha preceduti. Tutto quello che era stato l’avanscoperta ora si capovolge, la rivoluzione musicale e concettuale che fu totale o quasi con ‘Midnattens Widunder’ ora è il sistema classico da ribaltare e i Trollfest sono il carnevale musicale pronto a sovvecchiarne gli schemi e a moltiplicarne i ritmi. Non si tratta né di saturazione eccessiva né di abbandono, ma di una transazione laterale che li estranea quasi completamente da molti dei fortunati clichè dei progenitori Finntroll e di tutte le altre figure carismatiche della scena folk e pagan. Quello di ‘Villanden’ è un caos rivoluzionario, se vogliamo, ma organizzato dannatamente bene, studiato a puntino e organizzato in maniera quasi impeccabile. L’unico rischio al momento sarebbe di vederli varcare la soglia dell’ordine – più che altro mentale – qualora venisse ricercato troppo profondamente, sviluppando quella robustezza strutturale che si intravede da lontano in alcuni passaggi di brani come Uraltes Elemente; ma con questi presupposti (e salvo ovviamente tutte le sorprese possibili) ancora per un po’ possiamo stare tranquilli.

Per ritrovare invece l’atmosfera da balera e festa bavaerese dobbiamo attendere En Ny Erfaring, ancora in tre quarti e ancora tutta voce e fisarmonica, anche se leggermente più costruita nel susseguirsi di melodie che come da tradizione cambiano di tono a metà brano. Una piccola pausa prima di Trinkenvisen  dove i giochi ritmici del folk si alternano a una struttura ritmica decisamente black metal. Un’altra perla arriva in chiusura, con Die Kirche undt der Mache, brano ripartito tra passaggi veloci e altri più lenti, in cui ampi cori si vanno a sovrapporre su di vere e proprie guerriglie vocali rauche e serratissime. Alla dissolvenza del tema principale si aggancia un malinconico accordion quasi estraneo che abbraccia la compagnia di un altro paio di melodie e ci guida alla fine dell’album.

A distanza di quattro anni dal loro esordio i Trollfest si confermano come una delle realtà più strambamente coinvolgenti e interessanti della scena folk, con le loro scorribande veloci e nevrasteniche. Il loro cantato assolutamente originale e musicalmente paranoico si va ad accoppiare in forme ben lontane dai paradigmi consueti, in quella che è un’orgia di follia sonora al momento più unica che rara. Continuano a parlare la loro lingua musicale e continuano anche a portare avanti il loro progetto linguistico, cantando in un idioma originato dall’incrocio di norvegese e tedesco, non sempre devoto (e non potrebbe essere altrimenti) a precise regole glottologiche o grammaticali.

Con ‘Villanden’ questi quattro troll toccano il vertice (momentaneo?) della loro carriera: tre album che hanno costituito una crescita continua, un affinamento dei loro sistemi e dei loro caotici credi musicali, portandoli a un lavoro che supera anche il bellissimo precedente Brakebein.

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

Tracklist:
01. Wo Bin Ich Jetz Aufgewacht?
02. Der JegerMeister
03. Uraltes Elemente
04. Villanden
05. Per, Pål Og Brakebeins Abenteuer
06. Der Uhr Ist Skandaløst Schändlich
07. God Fart
08. Festival
09. En Ny Erfaring
10. Trinkenvisen
11. Die Kirche Undt Der Mache

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