Recensione: Violence And The Macabre

Di Fabrizio Meo - 10 Aprile 2014 - 21:05
Violence And The Macabre
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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76

Nella notte in cui scoprirono il traditore e lo tumularono vivo, essi presero il catrame, lo spezzarono, lo diedero ai loro discepoli e dissero:

«Prendete e mangiatene tutti. Questo è il nostro corpo offerto in sacrifico per voi».

Allo stesso modo presero l’acido muriatico gli resero grazie con il guttural di maledizione, lo diedero ai loro discepoli e dissero:

«Prendete e bevetene tutti, questo è il nostro sangue, offerto per voi e per tutti in ossequio dei peccati. Fate questo in memoria di noi».

(L’ultima pena. Dal Vangelo secondo i Devourment) “Molesting the Decapitated” (1999).

L’inizio dell’avariata parabola dello slam brutal death che oggi conta migliaia di band e adepti, pronti ad ingerire amianto e fuliggine, sguainando lame e brandendo picconi. Lo slam ha attecchito ove i terreni sono più fertili, giacché spesso furia e negazione armano la voce di popoli in cerca di riscatto, in un mondo che tende ad emarginare e schiacciare i silenti.

È questo il caso dell’Indonesia e delle Filippine, una scena musicale in enorme espansione, in cui veri e propri ‘festival’ come l’Hammersonic di Giacarta e il Pulp Summer Slam, ospitano non solo gruppi metal di fama internazionale, ma vere e proprie rassegne underground davvero terrificanti. Band come Turbidity, Departed, XTAB, Maggot Vomit, Venomed, Morbid Devourment ecc, sono considerate di culto dalle giovani generazioni, che preferiscono riff sanguinari, guttural catacombali, distorsioni e blast beat decapitanti, al dolce sitar e al mistico tribale.

Qualcuno diceva: «Don’t worry about a thing, cause every little thing, gonna be alright, singin’ don’t worry about a thing cause every little thing, gonna be alright». Si certo, andatelo a dire ai Down Of The Wound, e al loro secondo album, “Violence And The Macabre”, un concentrato di brutalità pura atteso seguito del soddisfacente esordio “Agony Through Rituals of Self Purification” (2007).

I Nostri, supportati da un’art-work che rievoca qual atto di nobiltà d’animo sia tendere la mano verso il prossimo, dimostrano di saper sguazzare nel genere molto meglio di tanti cugini a stelle e strisce, dispensando distruzione di qualità e quantità. Le undici tracce del disco mostrano una piena padronanza degli stilemi tipici, inhale a bassissime frequenze, riff veloci e potenti, blast-beat ferocissimi, mid-tempo pachidermici.

‘Violence and The Macabre’ è un vecchio asilo del tormento e della sevizia, un tempio del gore e della nera avversione. Un deturpato cantiere suburbano alle due del pomeriggio di una giornata d’agosto. La betoniera vocale di Tristan Dela Cruz impasta e macina grugniti cementosi, il guitarwork di Chie Merigildo e Jeff Companero frullina granito tra gli stridii di una gru rugginosa, più in là il martello pneumatico di Randyl Manglicmot fracassa l’asfalto per costruire una nuova cloaca.  

La produzione del disco è chiara, ed esalta gioiosamente ogni proposito di demolizione. Lungi da me affrontare dunque, in tal contesto, sterili allusioni alla poca originalità. Lo slam è slam, e non può essere altro. Ruota intorno ad elementi specifici che lo rendono tale, e seppur abbastanza impantanato in forme canoniche, rimane senza ombra di dubbio l’espressione più estrema del death in generale.

In fin dei conti, ci si impantana che è un piacere.

Fabrizio Meo
 

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