Recensione: Visor om Slutet

Di Daniele Balestrieri - 15 Giugno 2003 - 0:00
Visor om Slutet
Band: Finntroll
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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81

Che mi venga un colpo se questo Visor om Slutet non è un CD incredibile. E che mi venga un colpo se quelle che ho letto in giro non sono le critiche più ingiuste, bieche e ridicole che io abbia mai sentito. Quando ho sentito l’ultima sentenza riguardo questo lavoro dei Finntroll non sono davvero riuscito a fermarmi, e ora ho un compito: portare su truemetal la verità.

Visor om Slutet è il terzo lavoro dei Finntroll, gruppo black finlandese che ha guadagnato una giusta fama grazie a una coppia di lavori che giudico di prim’ordine: Midnattens Widunder e Jaktens Tid. Recentemente, poi, sono tornati alla ribalta per via di una serie di eventi sfortunati che hanno colpito la band: nell’atmosfera di uno split scongiurato, il cantante Katla si è dovuto ritirare a causa di un cancro alle corde vocali, seguito poco dopo dalla morte del chitarrista Teemu Ramoiranta. È triste, è una band che non meritava tante disgrazie, vista l’attitudine allegra, spaccona, da veri troll che corrono per le foreste svedesi gettando all’aria tutto quello che trovano. Dopo l’uragano Jaktens Tid, la band stava iniziando il proprio terzo lavoro, ma visti i problemi incorsi decisero di trovare un nuovo cantante, tale Tapio Wilska, e di creare con lui un progetto mediano, un CD che loro definirono prima “strumentale”, poi chiamarono “acustico” e infine “sperimentale”. Prima doveva essere un mini di quattro canzoni, e la realtà invece si è presentata con un album a tutti gli effetti, di undici tracce, che deve essere visto come una pausa dei troll, come un momento di passaggio tra secondo e terzo album, un esperimento, un omaggio a testa alta a un fato tanto crudele con questa band.

Con tante notizie discordanti è stato molto difficile capire cosa ci si doveva aspettare, e non nego una certa trepidazione nell’attesa. All’acquisto ho avuto davvero un tuffo al cuore: è un CD che deve essere ascoltato, e mi rendo conto che verrà apprezzato solo da chi sarà degno di ascoltarlo. Mai come in questo album la recensione traccia per traccia risulta utile: devo farvi capire che razza di lavoro hanno tirato fuori.

L’album si apre a Suohengen Sija, in piena notte, vicino a uno stagno: ranocchie, grilli e un’introduzione orchestrale di violini, oboe, tromoboni, contrabassi e un sottofondo inquietante, misterioso, riempiono l’aria come fece la drammatica introduzione di film come Alien 2, che questa traccia ricorda molto da vicino. Quando sarete entrati ormai in questa opprimente atmosfera, quando vi sentirete seguiti e osservati da mille occhi, inizierà la seconda, Asfegelns Död, che con altrettanta opprimente cadenza marziale ci presenta la voce del nuovo cantante, una voce più roca, più graffiata, più disarticolata della precedente, ma non per questo meno selvatica: proviene anch’essa da una caverna, in perfetto stile Finntroll. La canzone, come da tradizione in svedese, manca di una melodia portante, e si dipana nel segno dell’oppressione dell’ascoltatore, con uno screaming maligno in secondo piano che aumenta di ripetizioni man mano che le strofe vanno avanti, tra urli e stridori, tra chitarre acustiche e abbiaiare di cani, cantare di gufi e frinire di grilli. Quando poi, ai 3 minuti e 45 secondi, la pressione è a mille, la foresta piomba con un tonfo nel silenzio più profondo: è finito il momento degli animali. Dagli arbusti di tutte le valli i troll escono come un’esplosione all’aperto, e iniziano a ballare alla luce della luna: in un’atmosfera quasi belle époque, anni 20, un ritmo incalzante di tamburelli e trombette introducono una canzone allegra, corale, in cui tutti i troll si danno appuntamento per brindare intorno a un fuoco: la melodia cattura come una ragnatela, il ritmo è incalzante, e il piede dell’ascoltatore non può non iniziare a battere freneticamente, mentre i troll danno spettacolo in Försvinn Du Som Lyser. La festa continua per altri tre minuti, finché un rullante di timpani non fa rientrare l’ascolto nel misterioso bosco chiazzato di neve e ghiaccio: è ancora la notte a fare da padrona, e un’orchestra drammaticissima di nome Veripuu ci introduce in poco più di un minuto alla quinta, Under Varje Rot Och Sten, una strumentale di gran gusto compositivo, che ci getta in un medioevo nord europeo con cori di trombe, flauti e violini, con timpani e grancasse a scandire l’atmosfera fuori da ogni tempo, nel rimbombare delle mura di legno di qualche villaggio, castello o piana sconfinata.

E un urlo spezza il silenzio allo scoccare dei due minuti, quando le valli si riempiono nuovamente dei troll in festa, che percuotono ritmicamente i loro bastoni sul terreno, battono le mani, urlano sguaiati innalzando corni di birra, ballando alla luce dei fuochi, chiacchierando tra di loro, e impugnando rozze chitarre, eseguendo ritmiche da festa di paese, finché un corvo non ci riporta alla maestosa lontananza delle montagne svedesi: inizia När Allt Blir Is, “quando tutto diventerà ghiaccio”, e infatti sono passi sulla neve a scandire una strumentale atmosferica, probabilmente la più atmosferica di tutte, senza particolari pregi, se non fosse che ai due minuti e mezzo il silenzio mistico viene interrotto da un corno profondissimo e da un coro maschile che sussurra il riff della canzone più bella di tutto l’album, e una delle più commoventi probabilmente del panorama folk scandinavo: Siste Runans Dans. La canzone è benedetta da un equilibrio pregevole di chitarra acustica, munnharpe, cori quasi bathoriani e voce solista, che qui scandisce con fare epicissimo il cammino dal passato verso il futuro, quasi come un omaggio nei confronti della storia della band, è come se i troll si fermassero un momento di fronte al destino, sorridendogli beffardo nonostante i torti subiti, e allontanandosi sistemandosi i loro cappellacci di fustagno. E quando i troll se ne sono andati, inizia Rov, due minuti che ci illustrano una bestia famelica che si ciba di una carcassa di qualche animale, sbuffando come un demonio, spezzando arbusti nella sua agitazione, mentre in sottofondo un timpano profondo tortura le note più basse della scala armonica. Finito il pasto feroce, eccoci a Madon Laulu, altra strumentale che sprofonda nella notte illuminata dalla luna piena, che annulla tutti i colori e getta ombre misteriose su una tribù indiana, che recita dei misteriosi rituali per svegliare gli spiriti degli antenati, gli spiriti della natura, degli animali, fino a sviscerare l’anima più primitiva e tribale dell’uomo stesso.

Sono quattro minuti in cui la band si agita urlando riti sciamanici in una lingua indefinita, mentre un tamburo di pelle e una tastiera ossessionante scandiscono l’incedere sempre più in crescita del rito, finché un tamburo sordo non sancisce la fine di tutto, lasciando l’ascoltatore sperduto in una gelida valle, con un gufo che fa echeggiare i propri misteriosi versi. All’ultimo verso del gufo una schitarrata acustica e un flauto scacciano le paure, introducendoci Svart Djup, altra bellissima canzone folk in cui il cantante è seduto comodamente su una roccia, con i suoi troll alle spalle che ripetono grezzamente in coro il triste refrain della terza “vera” canzone dell’album. E siamo trasportati ancora più lontani, nelle terre che ci hanno mostrato con tanta passione, con tanta ossessionante, visionaria abilità descrittiva. Al termine della canzone, con l’ultimo colpo di chitarra, rientra in grande pompa l’orchestra di Avgrunden Oppnas, che aveva allietato la prima metà dell’album, e sotto un tamburo oppimente un concerto di trombe, di violini e di percussioni accompagnano un coro di voci che montano un pathos monumentale, riempiendo l’aria di scintille, di vibrazioni, di gloria epica, finché un tuono non getta ancora una volta tutto nel silenzio delle foreste primordiali popolate di uccelli, rane e creature misteriose che si aggirano nelle ombre di una notte eterna.

È questo Visor om Slutet. Non “una caduta di stile dei Finntroll”. Visor om Slutet è per chi lo capisce. Per chi, oltre la musica, vede la storia. Non fate l’errore di sottovalutarlo, perché passeranno anni prima di trovare un album del genere. Credo che la recensione sia stata esauriente, avrete 3 cantate, 4 corali folk e tutte le altre strumentali. Volete un album pieno di canzoni, una specie di release ufficiale e straordinaria come Jaktens Tid, come Number of The Beast, come Master of Puppets, come At the Heart of Winter… non è cosa, questo è un album diverso. Questa è una risposta personale al fato, questa è una sfida, questo è un prodotto informale, creato con una certa intenzione, e destinato a chi vede le cose in un certo modo. Originariamente doveva essere distribuito solo in Scandinavia… e forse, vista l’ignoranza della critica “mondiale”, sarebbe stato un bene. Decidete voi, ma scusatemi se nel frattempo mi inchino silenzioso di fronte ai Finntroll.

TRACKLIST:

1. Suohengen Sija
2. Asfågelns Död
3. Försvinn Du Som Lyser
4. Veripuu
5. Under Varje Rot Och Sten
6. När Allt Blir Is
7. Den Sista Runans Dans
8. Rov
9. Madon Laulu
10. Svart Djup.
11. Avgrunden Öppnas

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