Recensione: Voidwards

Di Giuseppe Abazia - 15 Luglio 2006 - 0:00
Voidwards
Band: Dolorian
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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90

“Voidwards is an album without beginning, without end, without past, without future.” (Dolorian)

Ci sono voluti cinque anni, ma alla fine i Dolorian sono tornati. Cinque lunghi anni di silenzio dal loro precedente full-length, intervallati soltanto da uno split con gli Shining. Cinque lunghi anni, ma l’attesa è valsa la pena: i Dolorian hanno partorito quello che è, probabilmente, il loro miglior album in assoluto. Questo originalissimo act finlandese si era fatto già notare nel 1999 con When All The Laughter Has Gone, e già allora era difficile dare una definizione alla loro musica: sebbene le basi fossero radicate nel black e nel doom, i Dolorian le sviluppavano in modo del tutto personale, riuscendo a creare un sound unico e inconfondibile, che ad oggi ancora nessun’altra band è riuscita a replicare. Maestri di atmosfere nichiliste, allucinate e sognanti, nel 2001 tornarono sulle scene con un nuovo, omonimo, album: messe da parte le influenze black metal, e in parte anche quelle doom, i Dolorian giocavano con la loro stessa creazione, disorientavano l’ascoltatore oltrepassando i confini del metal e sfociando nell’ambient, lo trasportavano in un’altra dimensione con atmosfere grigie, vuote, allucinogene. La loro successiva creazione, Ekstasis, presente sullo split con gli Shining, li riportava dentro canoni più tipicamente metal: suoni appensatiti, lentezza dal più classico sapore doom metal, forte presenza di voce in growl. Era difficile immaginare cosa ci avrebbe proposto questo finnico terzetto col loro nuovo album, quale direzione avrebbe preso la loro inarrestabile evoluzione: Ekstasis rappresenta solo in parte ciò che i Dolorian propongono oggi, nel 2006. La risposta adesso è qui: Voidwards.

Anti Ittna Haapapuro (voce, chitarre), Ari Kukkohovi (batteria, chitarre, basso) e Jussi Ontero (tastiere) raccolgono le idee, fanno il punto della situazione e tornano con una summa di tutto ciò che hanno creato e sperimentato negli anni precedenti: Voidwards dimostra che il gruppo ha raggiunto una notevole maturità aristica, ed è in grado di plasmare fluidamente la propria musica dosando con equilibrio le influenze del passato con nuove soluzioni sonore, il tutto mantenendo il proprio caratteristico e ormai inconfondibile sound. Dieci tracce che fluiscono legate le une alle altre, dieci episodi di quella che sembra un’unica storia, ora calma e delicata, ora violenta e aggressiva, ora riflessiva e introspettiva. Dieci tracce in cui ritroviamo elementi del passato che vanno a fondersi con le novità di un’evoluzione che appare quanto mai sincera, spontanea, i cui unici confini sono le idee, la creatività e la voglia di sperimentare di chi, è evidente, produce la propria musica con passione e dedizione, senza porsi limite alcuno. In Voidwards troviamo atmosfere eteree, sognanti, malinconiche, delicate, violente, perverse, occulte, esoteriche; troviamo coesistenza di tempi dilatati e cadenzati e improvvise sfuriate di ragionata violenza; troviamo l’inquietudine di vocals basse, profonde, quasi sussurrate, la graffiante rabbiosità di screams folli, il cavernoso rimbombo di growls disperati. Troppa carne al fuoco, forse qualcuno starà pensando. Ma non è così: la coesistenza di elementi così apparentemente contrapposti trova nei Dolorian la sua naturale continuità, come un fluire unico di emozioni, parole, suoni, come una pacifica convivenza di opposti che trovano il proprio equilibrio nella lucida follia di un genio che è in grado di plasmare a proprio piacimento la materia prima oggetto delle proprie creazioni.

Dual – Void – Trident sembra riprendere il discorso interrotto col precedente album, e ci proietta nelle atmosfere dell’album in modo soffuso, calmo, ma al contempo inquietante. In The Locus Of Bone ci dimostra quanto sia labile la tranquillità di uno stato d’animo destinato ad essere scombussolato da un progressivo terremoto sonoro, sottolineato da vocals che si fanno mano mano più aspre e violente. E quando il calice è ormai colmo, e la follia sta per traboccare, essa stessa si spegne consapevolmente nei rivoli d’acqua di una caverna isolata, popolata solo dalle nostre paure più inconsce: siamo alla terza traccia, l’intermezzo strumentale Co-il-lusion. La successiva Ivory Artery ci riporta alle atmosfere inquietanti di prima, e le inasprisce con improvvisi scatti di violenza, dove le chitarre si fanno più pesanti, lo scream prende il sopravvento, e la razionalità fa spazio, per qualche attimo, alla cieca rabbia. Ma è The Flow Of Seething Visions, una bellissima strumentale di quasi dieci minuti, a riportarci all’introspezione, alla malinconia, ad una riflessione lucida eppure sognante, sospesa fra spazio e tempo, immersa in una natura che ha l’aspetto e le forme che la nostra mente decide di darle. The One Whose Name Has No End parte con un incedere tipicamente doom, e preserva la sua calma fino quasi metà, ossia fino all’improvviso sopraggiungere delle vocals in growl, in un crescendo di controllata brutalità, intervallata solo da qualche attimo di introspezione. E’ quindi la volta di The Absolute Halo Is Awakening, un’intermezzo ambient, che coi suoi rumori distanti, le sue note allucinate, i suoi lamenti inumani e le sue percussioni ritualistiche ci trasporta in atmosfere esoteriche, occulte, dal sapore vagamente orientale, che sfociano nella violentissima Epoch Of Cyclosure: lentezza cadenzata e ossessiva, e growl fin dai primi secondi per quella che è sicuramente la canzone più pesante dell’album. Ancora un breve intermezzo strumentale, The Fire Which Burns Not, che riprende le atmosfere ritualistiche di poco fa, prima della lunga canzone conclusiva: Raja Naga – Rising. E’ quasi con malinconia e rassegnazione che quest’ultima traccia ci introduce nelle sue atmosfere, come se fosse conscia che un viaggio sta per finire, un viaggio che però saluta l’ascoltatore non sulle tranquille – eppure inquietanti – note con le quali ve lo aveva introdotto, ma con una delle più violente e aggressive deflagrazioni dell’album. Il viaggio può dirsi concluso qui, ma non certo il bagaglio di sensazioni che rimangono dentro l’ascoltatore.

Voidwards è un disco che le parole non possono descrivere con sufficiente chiarezza: è un’esperienza, un “trip” uditivo-emotivo che per essere compreso deve essere soltanto assaporato. I Dolorian hanno composto un capolavoro di atmosfera, di emozioni, in grado di trasportare su un’altra dimensione, di oltrepassare i confini dello spazio, di penetrare nei meandri della mente di chi lo ascolta per comunicargli il suo oscuro messaggio. Ma qual è questo messaggio? I Dolorian sono sempre stati molto criptici nei loro testi e nel loro modo di comunicare idee, perciò credo che il messaggio sia lasciato alla sensibilità e all’interpretazione dell’ascoltatore, e a ciò che egli vorrà trarre dall’ascolto di questa loro ultima, meravigliosa creazione.

“…The travel towards the distant realms continues…”

Giuseppe Abazia

Tracklist:

1 – Dual – Void – Trident (05:10)
2 – In The Locus Of Bone (06:26)
3 – Co-il-lusion (01:24)
4 – Ivory Artery (08:53)
5 – The Flow Of Seething Visions (09:40)
6 – The One Whose Name Has No End (10:31)
7 – The Absolute Halo Is Awakening (03:38)
8 – Epoch Of Cyclosure (08:40)
9 – The Fire Which Burns Not (01:03)
10 – Raja Naga – Rising (10:26)
 

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