Recensione: Voyager

Di - 4 Aprile 2008 - 0:00
Voyager
Band: Manilla Road
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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82

L’heavy metal di stampo eroico si può dividere in due correnti ben specifiche: l’Epic Metal e il Metallo Epico. Il primo è quello più gioioso, scoppiettante, roboante e trova le proprie punte di diamante in band come Virgin Steele, Manowar, Medieval Steel e, in parte, Omen. Il secondo è invece più greve, cupo, brumoso, ragionato, dall’appeal meno commerciale e dalle copertine indimenticabili. Gli epigoni di quest’ultima branchia sono Heavy Load, Cirith Ungol e Manilla Road, ensemble oscuri e assolutamente di culto che negli anni hanno influenzato una miriade di nuove e meno nuove ottime band in tutto il mondo, compreso il Nostro amato stivale: mi sovvengono Doomsword, Wotan e Battle Ram.

La prima parte di questo 2008 verrà ricordata dai die hard del Metallo Epico per l’uscita del nuovo Manilla Road da parte dell’italianissima etichetta My Graveyard Productions, che tra l’altro ha fatto suonare Shelton & Co. come headliner al Play it Loud Festival II di Orzinuovi (Bs) lo scorso 23 febbraio. Voyager è un disco di difficile digeribilità, che per crescere e raggiungere la profondità che gli compete abbisogna di enne ascolti. I Manilla Road – nell’occasione privi dei servigi di Bryan “Hellroadie” Patrick – , fin dal principio della loro carriera (nati nel 1977 e all’esordio con Invasion, 1980), sono una band che non ha mezze misure: o si ama alla follia o lascia totalmente indifferenti. Conosco fior di defender pluridecorati che in occasione di un concerto degli americani si dedicano ad altre attività ludiche (e non) e mai e poi mai acquisterebbero un loro disco, pena tirarsi due attributi come una mongolfiera… Ebbene, Voyager – un concept incentrato sull’abbandono da parte dei Vichinghi della Loro terra per mantenere la propria identità religiosa – è assolutamente in linea con gli altri album del gruppo di Wichita (Kansas), e non tradirà gli oltranzisti, così come non farà nuovi proseliti fra la categoria citata in precedenza.

Si parte con il plumbeo intro Tomb of the Serpent King, seguito a ruota da Butchers of the Sea, un pezzo magniloquente che fa delle cavalcate epiche il proprio must. Frost and Fire non è un tributo ai colleghi Cirith Ungol ma un tuffo nel passato da parte di Shelton e soci. Tree of Life è una ballad ipnotica dove il suono antico-progressive della chitarra viscerale di Mark taglia come un rasoio. Senza dubbio uno dei capitoli migliori dell’album. Note di organo introducono Blood Eagle, probabilmente l’highlight assoluto di Voyager: si tratta di un brano gigantesco, esagerato, che più volte si colloca vicino al Doom Metal e fa del ritornello facile uno dei propri punti di forza. La title track non graffia come dovrebbe, rasentando a tratti la noia, forse a causa di un eccessivo proliferare di sonorità che spaziano dalla Psichedelia all’HM. Eye of the Storm è “solamente” acustica e in Return of the Serpent King i Nostri tornano a essere pesanti come sempre. Conquest è furia cieca Epic, probabilmente una delle canzoni più dure scritte dai Manilla Road nella storia, con tanto di Shelton alle prese con un cantato growl convinto e si ammaina la bandiera con Totentanz (The Dance of Death), traccia agrodolce che alterna mazzate heavy a trame solari. 

La produzione di Voyager è essenziale, proprio come amano i puristi del combo statunitense. Il disco è un classico Manilla Road, bello carico e atmosferico, incredibilmente articolato, positivamente prolisso e quindi inossidabile al passare del tempo e delle mode temporanee. Un must per gli amanti di certe sonorità che difficilmente farà presa nel resto del pubblico, ma poco importa, quello che conta è piacere in maniera viscerale a pochi eletti, come quelli che si sono sciroppati migliaia di chilometri anche dall’estero pur di vederli headliner sullo stage del Buddha di Orzinuovi.

Stefano “Steven Rich” Ricetti                        

                      

Tracklist:
1. Tomb of the serpent king / Butchers of the sea
2. Frost and fire
3. Tree of life
4. Blood eagle
5. Voyager
6. Eye of the storm
7. Return of the serpent king
8. Conquest
9. Totentanz (The dance of death)

Line-up:
Mark “Shark” Shelton – voce e chitarra
Harvey ”Crow” Patrick – basso
Cory “Hardcore” Christner – batteria

 

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