Recensione: Vulgar Display Of Power

Di - 10 Marzo 2003 - 0:00
Vulgar Display Of Power
Band: Pantera
Etichetta:
Genere:
Anno: 1992
Nazione:
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95

Che dei Pantera si sia parlato troppo è un dato di fatto, specie negli ultimi anni. In genere tutti hanno da destinare accuse a Phil e soci per la direzione intrapresa dopo l’esplosivo inizio (se non consideriamo gli aborti degli albori della carriera..Tra l’altro nella discografia ufficiale non vengono neanche citati). Pensate quello che vi pare, ma c’è assolutamente una considerazione da fare: i Pantera hanno partorito l’album più groovy e genuinamente violento di tutti gli anni ’90.

Galvanizzato dallo strepitoso risultato ottenuto da “Cowboys From Hell”, il combo Texano torna all’assalto due anni dopo con un autentico manifesto di violenza, che è in grado di miscelare generi che vanno dal thrash, all’hardcore, al punk più tirato, diventando negli anni a seguire, l’autentica scuola di tutto ciò che è definito thrash-core, thrash evoluto e nu-metal. Ma andiamo con ordine. Naturalmente “Vulgar Display of Power” non ha nulla a che spartire col nu-metal più becero, di quello che viene sparato in classifica e poi scompare dopo neanche qualche settimana, l’album in questione ti marchia a fuoco con il suo trade-mark ed è veramente difficile che possa lasciare indifferente l’ascoltatore che gli si avvicina per la prima volta. L’aggettivo “dinamitardo” rende perfetamente l’idea di come si presenta ogni passaggio chitarristico di Darrell o una incazzatissima lirica di Anselmo.

L’apertura di “Mouth for war” con ritmiche che risultano molto moderne di certo non fa pensare che l’album in questione è stato scritto 11 anni fa, giusto per ribadire che nel 1992 i quattro erano avanti già di buoni 6-7 anni. Naturalmente il bridge in ogni canzone dei Pantera è il punto più teso che poi esplode senza via di mezzo in un ritornello che subito ti si piazza in testa. In questa canzone Darrell da prova di essere il motore pulsante del gruppo, snocciolando riff che sembrano cemento armato per quanto sono compatti.
“A new level” parte con tempi più lenti ma sempre oltremodo granitici. Come una scossa arriva anche il grandissimo solo di chitarra di Diamond che dimostra di saper fare altro oltre a far rombare inauditamente la chitarra. In un album di canzoni simbolo come questo, non manca comunuqe un vero e proprio manifesto, ed è sicuramente “Walk”, inno del combo americano. Ritornello che non puoi fare a meno di urlare a pieni polmoni per quanto è carico ed adrenalinico. “Fucking hostile” parte come un proiettile, veloce e rabbiosa, con un ritornello troppo diretto per non essere fantastico, immortale per quanto è fregno. Non trovo parole più adatte, l’album è figlio del cemento e dell’incazzatura quotidiana, non può non essere etichettato che con questi termini. Che i lettori più esigenti mi perdonino, ma “Vulgar display of power” è questo, autenticità allo stato puro. Anche quando ci si trova dinanzi ad una canzone come “This love” che alterna partiture tipicamente Pantera, a tratti acustici e più intimisti. “Rise” spazza rapidamente le melodie avvolgenti della precendente canzone, per tornare con un assalto frontale, guidato dai tempi sincopati, bridge fondamentale e ritornello altrettanto diretto ed essenziale. “No good” è un’altra delle canzoni del disco a spiccare ulteriormente sulle altre per il suo feeling. Parte grave un Anselmo che quando si sposta su queste tonalità riesce comunque a risultare spaziale, e poi torna ad urlare rabbia col sopraggiungere del ritornello. Fortissime le melodie di chitarra che caratterizzano l’attacco di “Live in hole”, poi tempi nuovamente rallentati per un andamento marziale e concentrato. Altra dinamite in quantità industriale in song come “Regular People” e “By demons be driven” per arrivare alla ballata acustica finale di “Hollow”, caso decisamente singolare, molto intimista che comunque i Pantera decidono di mettere ogni tanto nei loro album.

Insomma 10 brani, escludendo l’ultimo che rappresentano perfettamente la transposizione di violenza in musica, fondamentale anche se non amate il genere. Vero capolavoro anni ’90.

Francesco “madcap” Vitale

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