Recensione: Walls Of Jericho

Di Mauro Gelsomini - 26 Agosto 2002 - 0:00
Walls of Jericho
Band: Helloween
Etichetta:
Genere:
Anno: 1986
Nazione:
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85

Esordio col botto per la storica power metal band tedesca: come un fulmine a ciel sereno giunge questo CD che contiene anche “Helloween”, mini-LP del 1985.
Prodotto con un sound decisamente grezzo e approssimativo (qua e là si percepiscono addirittura dei feedback!), l’album trova una delle sue caratteristiche distintive nel cantato al vetriolo, molto poco curato e a volte addirittura stonato di un giovanissimo Kai Hansen, che accompagna tutta l’opera, dandole quel senso di rozzezza ed impatto con le sue sparate in falsetto.
Il mini inizia con un pezzo stellare di power speed, “Starlight”, tanto per rompere gli indugi con il massimo impatto possibile. Ed in effetti l’urto è davvero dirompente, e fa ben sperare per il seguito, “Murderer”, altra song sparata con ritmiche maideniane e liriche tipicamente Halloween. Senza respiro si prosegue con “Warrior”, in cui le cavalcate epiche della band di Harris sono quantomai dominanti. E’ con “Victim Of Fate” che si raggiunge il climax compositivo del disco. Le influenze NWOBHM sono ancora chiare, ma fa capolino lo stile con cui gli Helloween marcheranno in modo indelebile la loro produzione futura e tutto il power metal teutonico. Imperdibile il break darkeggiante che anticipa gli assoli botta-e-risposta di Kai Hansen e Michael Weikath. Grande lavoro di supporto ai dialoghi chitarristici quello svolto dal prodigioso Ingo Schwichtenberg (R.I.P.) alla batteria e da Markus Grosskopf al basso, autore di deliziosi tapping, mai banale e dotato già all’epoca di un’invidiabile tecnica personale.
“Cry For Freedom” è un drammatico appello alla libertà dal duplice volto: l’inizio lento e sofferto, e poi uno scatto repentino all’insegna del power speed cui avevano abituato i pezzi precedenti.
Il quartetto di Amburgo non tradisce le aspettative con “Walls Of Jericho” (1986), definendo meglio la sua identità sonora. La strumentale title track apre le danze per composizioni più mature e complesse come “Ride The Sky” (divenuta una live-hit) o “Phantoms Of Death”, nonché la maestosa “No More Tears”, divenuta poi “How Many Tears” e portata al meritato successo dalla straordinaria interpretazione in sede live di un certo Michael Kiske.
Sebbene l’ombra degli Iron Maiden sia sempre pesantemente presente, le innovazioni in direzione speed hanno indubbiamente reso le song degli Helloween così speciali, ed evidentemente influenzato le band future. Dal punto di vista delle liriche, l’album non è ostico, con pezzi dal contenuto diretto e attuale, resi alla perfezione grazie all’incontenibile energia della band.
Oltre alla già citata “How Many Tears” i riflettori sono puntati sull’anthemica “Heavy Metal (Is The Law)”, ormai divenuta parola d’ordine per moltissimi fans. Chiude il disco “Judas”, singolo riproposto come bonus track non creditata sul successivo “Keeper Of The Seven Keys”.
Anche “Walls Of Jericho” continua a soffrire dei limiti canori di Kai Hansen, ma la band rimedia a questo punto debole assoldando quel portento della natura che risponde al nome di Michael Kiske, e che di lì a poco permette agli Helloween di fare il definitivo salto di qualità per arrivare nell’ Olimpo del power metal.

1. Starlight
2. Murderer
3. Warrior
4. Victim of Fate
5. Cry for Freedom
6. Walls of Jericho/Ride the Sky
7. Reptile
8. Guardians
9. Phantoms of Death
10. Metal Invaders
11. Gorgar
12. Heavy Metal (Is the Law)
13. How Many Tears
14. Judas

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