Recensione: Warning Of Danger

Di Antonio Ferrari - 9 Aprile 2016 - 8:00
Warning Of Danger
Band: Omen
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 1985
Nazione:
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84

4 ottobre 1985, in quel tempo…
…Siamo probabilmente in uno degli anni in cui l’Heavy Metal, quello vero, non ancora etichettato in decine di sottogeneri, viveva uno dei suoi momenti di splendore prima dell’avvento del glam, che, se da una parte portò il rock duro al successo mondiale, dall’altra sentenziò l’involuzione artistica di molte band alla ricerca di facili consensi soprattutto oltre oceano (se qualcuno sta pensando a Saxon e Judas Priest, beh…non l’ho detto io!!).
 

Dicevo, in quel tempo emetteva il suo secondo vagito (o urlo?) un quartetto californiano che si era già distinto l’anno precedente con quel piccolo gioiello che risponde al nome di “Battle Cry”: gli Omen.
Rispetto al predecessore, del quale conserva tutte le buone qualità, questo “Warning Of Danger” mette in evidenza un songwriting a mio modesto parere leggermente più raffinato, senza però nulla togliere a potenza ed epicità (ascoltate “Termination”, poi mi direte!).
La title-track ne è un ottimo esempio: partenza lenta ed evocativa di pochi secondi e poi si parte in quarta con un riff portante che una volta si ed una no mi ricorda i Maiden di “Powerslave“; il ritornello o refrain, che fa più fico, è evocativo ed epico ad altissimi livelli, grazie soprattutto alla voce potente e graffiante, ma a suo modo melodica, di J.D. Kimball (R.I.P.).
La cadenzata “March On” e la bellissima cavalcata “Ruby Eyes” mantengono molto alto il livello qualitativo grazie ad un misto di potenza e melodia esaltato dall’ottimo lavoro alla chitarra di Kenny Powell e da un drumming forse non troppo fantasioso, ma sempre preciso e ben studiato.
Alla traccia numero quattro il miracolo, almeno nell’opinione di chi scrive: “Don’t Fear the Night” è tutto ciò che si può chiedere ad una canzone Heavy Metal: potenza, melodia, epicità e gusto negli assoli. Ripeto, gusto, non sfoggio di tecnica fine a se stessa, ed il tutto è cosi ben amalgamato che risulta quasi naturale. Insomma, ci si sente a casa già al primo ascolto. So che sembro banale, provare per credere!

Seguono un’ottima strumentale, anch’essa molto maideniana, la già citata scheggia di fiammante Heavy Metal “Termination”, preceduta da un intro forse un pò troppo scontata, e l’epicissima “Make Me Your King” in cui il compianto J.D. tira fuori probabilmente la sua migliore interpretazione di sempre.
A “Red Horizons”, meno ispirata rispetto a ciò che l’ha preceduta, spetta l’ingrato compito di fare da apripista al secondo autentico capolavoro dell’album “Hell’s Gates”. Ancora una volta l’epicità si tocca con mano, grazie alla solita interpretazione da urlo di J.D. su un tappeto di riff assolutamente geniali nella loro semplicità; la parte centrale del brano è semplicemente… da ascoltare (e possibilmente in cuffia)!

L’anno successivo i Nostri pubblicarono un degno successore di questo piccolo capolavoro (“The Curse”, del 1986) che però non gli permise il salto di qualità a livello di vendite: conseguenza lo scialbo “Escape to Nowhere” (1988) in cui le sonorità vennero ammorbidite alla ricerca di una più ampia fetta di consensi, ma che a tutti gli effetti decretò la fine del gruppo nella sua incarnazione originale.
Tra la fine degli anni Novanta ed i primi anni del nuovo millennio gli Omen tornarono sul mercato con album tutto sommato ben accolti dalla critica, ma ahimè inferiori a ciò che era stato pubblicato a metà anni Ottanta…
…In quel tempo
 

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