Recensione: Waterdevils

Di Simone Volponi - 28 Dicembre 2016 - 0:00
Waterdevils
Band: Apollo
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Il greco Apollo Papathanasio è, a giudizio di chi scrive, uno dei migliori vocalist in circolazione in ambito power metal e non solo. Grazie alla sua voce calda ed espressiva, e a un timbro facilmente distinguibile che pesca nel grande passato del rock (vedi soprattutto David Coverdale) è riuscito negli anni a farsi un nome e a raccogliere buona parte dei riconoscimenti meritati.Dopo aver speso i primi anni di carriera dividendosi tra svariati progetti power progressive rimasti per lo più nell’anonimato, tra i quali i Majestic, i Sandalinas, i Meduza, i Time Requiem di Richard Andersson (invero meritevoli) o gli Evil Masquerade, il salto di qualità è arrivato con l’ingresso nei Firewind di Gus G. e la produzione di ottimi lavori come The Premonition e Few Against Many. Da lì poi la chiamata dell’ex Arch Enemy Michael Amott e il passaggio nelle fila dei Spiritual Beggars, di cui è l’attuale frontman da tre album a questa parte.
Trasferitosi da tempo in Svezia, dove insegna anche canto, Papathanasio presenta ora sul mercato il primo lavoro da solista sotto il semplice monicker, appunto, di Apollo (fantasia!).

Waterdevils, questo il titolo del lavoro, è un grande omaggio all’hard rock classico, sulla scia di quanto proposto proprio con gli Spiritual Beggars, senza negare passaggi più metal e andando a toccare anche punti più squisitamente AOR, dimostrando tutta la capacità vocale del protagonista.
Al disco prendono parte molti strumentisti tra gli amici che Apollo ha raccolto durante i suoi numerosi lavori, così troviamo subito nell’iniziale “Revolution For The Brave” un ottimo Chris Amott (Arch Enemy) alla chitarra, Ludwig Witt (Grand Magus, Spiritual Beggars) alla batteria e Per Wiberg (Opeth, Spiritual Beggars) alle tastiere, per un pezzo immediato e dallo scintillio hard rock. Ma più che la somma dei musicisti coinvolti, la differenza viene fatta dalla qualità globale delle composizioni e dall’interpretazione straordinaria di Apollo.
Liberate Your Self” dai deliziosi cori femminili, e “Buried In A Flame” non sfigurerebbero nel carnet degli Whitesnake tanto profumano del cotonato rock anni ‘80. Ottima su tale linea anche la rabbiosa “Safe And Sound”, mentre “Fallen Endlessly” è più elegiaca e si rifà allo stile di R. J. Dio grazie a un ritmo più sognante e all’inserimento di chitarre acustiche.
Troviamo il class metal nella sostenuta “Crossing The Lines” con Apollo ancora vicino a una interpretazione simil-Dio che nelle sue corde vocali funziona più che bene, e nella ruvida “Rise Up”. Tutto Waterdevils scorre liscio e piacevole, senza sbavature, la produzione è cristallina e si avverte un profondo sentore di divertimento, trasmesso dalla passione che il singer ha messo in ogni strofa cantata, seguito a ruota dagli amici che impreziosiscono le tracce con assoli di qualità, punteggiature di hammond, e cori epici.
La parte conclusiva è quella più prettamente AOR, come si evince dai refrain ariosi di “I Need Rock n’ Roll” e “Through The Fire”, inframezzate dalla diretta e powereggiante “Chasing Shadows”, tra le migliori del lotto. “Stop”, che risulta come l’highlight assoluto del disco grazie alle strofe incalzanti e un ritornello super-orecchiabile di quelli che strisciano nel cervello e non ti mollano, è stranamente posta in chiusura, forse una strategia per far venir voglia di ripartire subito con l’ascolto.

Voglia che c’è a prescindere, perché “Waterdevils” ci racconta di un viaggio nell’ambito del rock più classico, diviso tra ruggine e melodia, senza fronzoli o la presunzione di voler dire qualcosa di nuovo. È intrattenimento fatto di energia per battere mani e piedi, scuotersi un po’ e prendersela bene. In occasione delle feste natalizie, Apollo Papathanasio si è regalato un riassunto di quanto la sua carriera ha detto finora, concentrandosi di più sugli ultimi anni, che sono di certo la sua attualità e la sua visione musicale per il futuro.

 

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