Recensione: We re an american band

Di Filippo Benedetto - 8 Luglio 2004 - 0:00
We re an american band
Etichetta:
Genere:
Anno: 1973
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
88

 I Grand Funk Railroad, formatisi nel lontano 1968, meritano sicuramente più di una nota di apprezzamento in ambito hard rock per essere stati alfieri di un rock dinamico, frizzante non privo di spunti boogie  talvolta sconfinanti nel soul. Dopo la pubblicazione di un album importante per la loro carriera,  quel “E Pluribus Funk” (datato 1971) che ancora oggi viene considerato il punto più alto della creatività artistica del combo, I “Grand Funk” produssero “Phoenix” (1973) e “We’re an american band”, incrementando la propria autorevolezza e successo nel panorama hard rock del periodo. Proprio quest’ultimo lavoro, qui oggetto di recensione, merita più di una nota di apprezzamento sia dal punto di vista strettamente compositivo che per quanto concerne la qualità tecnico strumentale. Il disco si presenta essenziale, diretto, ancora a distanza di tempo “fresco”: merito di una collaborazione artistica tra i membri del gruppo evidentemente ad alti livelli. Quest’essenzialità  a livello musicale si riflette poi nella copertina, interamente su sfondo giallo con su scritto, quasi sentenziando, “We’re an american band”. Ebbene partiamo subito con l’analisi del disco.

Si parte con la vivacità contagiosa della title track, “We’re an american band”, irresistibile “cavalcata” funk rock che fin dalle prime note mostra tutto il suo splendore grazie ad un riffing d’apertura coinvolgente. Il refrain è la parte essenziale del brano, in cui il brano svela tutto il suo appeal. Già con questa prima song il disco parte decisamente dinamico e frizzante, promettendo bene sul risultato finale. Proseguendo nell’ascolto la band si concede un momento di lieve rilassamento con “Stop lockin’ back”. Dopo un’apertura di più diretto impatto lo svolgimento successivo del brano si assesta su tempi medi, grazie ad un drumming leggermente più cadenzato ma comunque efficace e puntuale. La song, inoltre, sviluppa sfaccettature melodiche diverse, merito di un riffing che riesce a costruire melodie prima vivaci e poi più riflessive e a tratti quasi “drammatiche” (il ruolo dell’hammond, con la corposità del suo suono, funge da elemento essenziale a tale scopo). Con la quarta traccia, a modesto parere del sottoscritto, la band sfodera le sue carte migliori. “Creepin'” ,  questo il titolo del brano, è una ballata di assoluta bellezza dove le chitarre svolgono un tema melodico, accattivante e la sezione basso/batteria costruisce una base ritmica davvero ben impostata e trascinante (specialmente nella fase finale del pezzo). Degna di nota a la parte vocale, decisamente “ispirata” ed evocativa di un  “lirismo” decisamente suggestivo. Non manca di aggiungere ulteriore lustro al brano un assolo morbido e suadente che in definitiva arricchisce di un certo “pathos” il tutto. La band torna a “graffiare” con la successiva “Black Licorice”, song dinamica dove l’hard rock si sposa felicemente con il funk. Molto importante è il ruolo dell’hammond che, in una specie di cavalcata sonora fulminante, innesta lungo le linee portanti del brano un assolo pieno di brio. Accanto al pregevole lavoro in sede tastieristica, le chitarre arricchiscono di forza d’impatto il brano sia sul versante ritmico che su quello solistico (specialmente sotto quest’ultimo profilo regalando all’ascoltatore momenti emozionanti). Con “Railroad” il gruppo si concentra nuovamente su armonie riflessive e quasi sognanti, grazie ad un lavoro di chitarra pregevole sia in apertura (davvero bello l’arpeggio inziale, dall’incedere malinconico) che nel successivo sviluppo del brano in cui viene dispiegato in tutta la sua maestosità il tema fondamentale. Non manca di stupire positivamente il lavoro in sede solistica, che eleva di tono il pezzo.”Ain’t Got Nobody” si distingue per azzeccati cambi di tempo permettendo alla track uno sviluppo secondo linee melodiche prima più rilassate e poi più vivaci e dinamiche. Le armonie del brano sono di sicuro effetto, conquistano l’ascoltatore e molto ben impostata e la sezione coristica che offre un’apertura melodica di buona fattura. L’hard rock irrompe con la penultima “Walk like a man”, brano che subito mostra tutto il proprio accattivante fascino nel refrain.Il ruolo del ritmo pare fondamentale per la riuscita del pezzo, grazie ad un drumming incisivo che costruisce solida base per il graffiante riffing. Un lungo assolo, infine, dà notevole “corposità” al tutto. La conclusiva “Loneliest Rider” riporta la band a cimentarsi in atmosfere più riflessive, continuando a seguire l’immaginario sentiero melodico tracciato con brani come “Creepin'” e “Railroad”, forse concentrando maggiormente l’attenzione su sonorità più cupe. La song è decisamente articolata, dilungandosi molto su parti strumentali quasi ossessive. 

In conclusione questo “We’re an american band” conferma la band ai livelli più alti della propria creatività, consegnando alla storia dell’hard rock un altro gioiello di rara bellezza. Mi sento di consigliarlo non solo agli amanti dell’hard rock “di culto”, ma a tutti coloro i quali vogliono ascoltare un modo di far musica che, seppur invecchiato di trent’anni, conserva una freschezza che solo i grandi artisti sanno assicurare.

Tracklist:

1.We’re An American Band
2.Stop Lookin’ Back
3.Creepin’
4.Black Licorice
5.The Railroad
6.Ain’t Got Nobody
7.Walk Like A Man
8.Lonliest Rider

Ultimi album di Grand Funk Railroad