Recensione: We Rule the Night

Di Francesco Sgrò - 21 Febbraio 2015 - 0:00
We Rule the Night
Band: FireWölfe
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2014
Nazione:
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75

A prima vista, “We Rule The Night”, potrebbe far pensare ad un possibile titolo per un nuovo Best Of pubblicato dai Virgin Steele. Tuttavia sarà sufficiente concentrare la propria attenzione sul nome del gruppo sottostante per capire che in questo caso è il titolo scelto dagli americani FireWölfe per il secondo album della loro carriera, pubblicato verso la fine dello scorso anno.
Un artwork decisamente migliore rispetto al disco d’esordio arriva a presentare questa seconda release, caratterizzata da un sound tagliente, reso ancor più ruvido da una produzione aspra e squisitamente old style, perfettamente in grado di far riassaporare tutta l’essenza del classico Heavy Metal degli anni ’80.

Con “We Rule The Night”, i nostri danno il benvenuto al promettente Bobby Ferkovich al basso, arrivato a sostituire Zack Uidl, che subito si dimostra abile nel creare un massiccio muro sonoro, insieme al drumming preciso e serrato del bravo Jay Schelle. Il lavoro di quest’ultimo costituisce la spina dorsale della granitica titletrack, opener spigolosa ma elegante, contraddistinta dall’eccellente lavoro chitarristico svolto da Nick Layton, sul quale si stagliano le semplici ed efficaci melodie vocali condotte dal singer David Fefolt, in possesso di una timbrica acuta e graffiante.
La decadente “The Devil’s Music”, mescola ancora perfettamente potenza e melodia, alternando una serie di riff corposi a momenti maggiormente plumbei e malinconici, in cui è proprio il basso di Ferkovich ad emergere in modo significativo, anticipando una sequela di parti soliste ottimamente eseguite, che subito dopo cedono il passo ad un Refrain ipnotico ma efficace.
Late Last Night” conferma la bontà del songwriting proposto dal combo a stelle e strisce, che confeziona con tenacia un altro episodio piacevole di un album che può proseguire ancora su buoni livelli qualitativi, con la più ragionata e cupa “A Senator’s Gun”, con la quale i nostri non tradiscono la fede del Metal più classico ed intimista, che in alcuni frangenti potrebbe rievocare lo spirito dei connazionali Savatage dei primi anni ’80.
Leggeri echi di Maiden e Saxon caratterizzano la potente “Long Road Home”, altro buon affresco Heavy, dominato ancora dalla sei corde di Layton, per un risultato non troppo originale ma sicuramente vincente.
Stessa sorte anche per la bella “Who’s Gonna Love You”, interamente incentrata su velocità cadenzate, su cui la voce di Fefolt e la chitarra del già menzionato Nick Layton possono esprimersi al meglio, regalando una pseudo ballad intensa e ricca di pathos.
Pochi minuti dopo la rasoiata di “Ready To Roll”, riporta l’album su sentieri decisamente più Heavy, in cui è di nuovo la potente sezione ritmica del combo ad emergere con successo, mentre melodie orientaleggianti e mistiche fanno da sfondo alla pregevole “Betrayal’s Kiss”, la quale può ancora contare su uno schema melodico diretto e di facile assimilazione, il quale risulta essere il vero punto di forza anche della successiva “Luck Of The Draw”, nella quale è possibile respirare ancora le atmosfere tipiche degli anni ’80, grazie ad un brano ottimamente strutturato e che ancora ricorda il tipico sound dei migliori Saxon.
Le ultime note del platter sono scandite dalla suggestiva “Dream Child”, ennesimo tassello ottimamente incastonato nel contesto di un album adrenalinico e ricco di passione per un genere che malgrado il passare degli anni anni, non morirà mai…

Francesco Sgrò
 

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