Recensione: When All the Heroes are Dead

Di Luca Montini - 2 Novembre 2019 - 1:00
When All the Heroes are Dead
Etichetta: Scarlet Records
Genere: Power 
Anno: 2019
Nazione:
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80

“Dio è morto”, annunciava il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche sul finire del diciannovesimo secolo – e lo stesso cantavano i Vision Divine, in un brano di “The Perfect Machine” (2005), dal titolo “God is Dead”. La riflessione nichilistica sulla disgregazione postmoderna di tutto ciò che è ideale e simbolico, indirizzata verso una visione pessimistica dell’umanità e dei suoi valori sempre più deboli, già ben rappresentata nella fuga finale verso lo spazio inesplorato del protagonista dell’ultimo album “Destination Set to Nowhere” (2012), si contrappone agli esordi del disco eponimo “Vision Divne” (1999), in cui un Dio Creatore sembrava quasi svettare sulle liriche dell’opener “New Eden”. Non è certo un mistero che l’evoluzione dei Vision Divine passi attraverso vent’anni di crescita e mutamenti nel sound e nello spirito, in una band nata come side-project del mastermind e fondatore Olaf Thorsen e divenuta poi gruppo vero e proprio, sfoggiando sempre una grande ricercatezza nei temi trattati, attraverso concept album talvolta in senso forte (con una trama che si snoda brano dopo brano) che in senso debole (con un tema generale analizzato in un differente aspetto in ogni singolo brano), come in quest’ultimo “When All the Heroes are Dead”. 
Oggi assistiamo alla progressiva morte degli eroi, nell’epoca dei tuttologi sul web, degli youtuber che si fanno opinion leader, in cui ogni tesi deve implicare necessariamente una critica sostenuta da un manipolo di personaggi anonimi ma molto più rumorosi di una ragionevole massa silente, che inevitabilmente esce influenzata da quella chiassosa propaganda; un mondo in cui ogni figura positiva del presente o del passato (in ambito sociale, politico o artistico) viene costantemente messa in discussione da tanti signor nessuno. L’unico eroe possibile si incarna nell’ego digitalmente aumentato di ognuno di noi. Ma in un mondo in cui tutti sono eroi, ineluttabilmente, non possono più esservi eroi. 
In maniera analoga alla morte di Dio, anche la morte degli eroi non implica affatto la loro presunta inesistenza, quanto mette invece in evidenza la loro caducità. Gli eroi sono morti, ma c’erano. Ora non ci sono più, li abbiamo uccisi noi. “Now that All the Heroes are Dead”, sentenzia il brano a metà dell’album. Ne arriveranno di nuovi o dovremo attendere il 6048 per una nuova, flebile speranza?

I toscani Vision Divine si presentano invece in ottima salute, forti di due importanti cambi in lineup dall’ultimo disco. Alla batteria confermato il maestro statunitense Mike Terrana, classe 1960, vero mostro di potenza e tecnica dietro le pelli. Il microfono passa invece da Fabio Lione, protagonista nei primi e negli ultimi due album della band, al più giovane Ivan Giannini (Derdian), non proprio un esordiente, che già dal singolo “Angel of Revenge” lanciato lo scorso anno proprio per presentare la nuova formazione marcava con personalità le distanze dai suoi due predecessori, il già citato Lione e Michele Luppi.
 

Alla prova dell’ascolto, “When All the Heroes are Dead” non delude le aspettative maturate in sette lunghi anni di attesa. Registrato agli Eden Studios di Pisa sotto l’occhio vigile di Simone Mularoni (DGM), arrangiato con grande maestria, il disco è una sintesi del prog-power proposto dal combo italico, estremamente guitar-oriented coi suoi riffoni granitici a cura di Olaf Thorsen e Federico Puleri, protagonisti anche degli immancabili duelli tra le chitarre e la tastera presidiata da Alessio Lucatti. Alla sezione ritmica il già citato Terrana assieme allo storico Andrea “Tower” Torricini al basso. Un disco suonato da professionisti che non sembrano interessati a seguire le mode ed il mercato, preferendo la spontaneità di un genere che ha visto il suo apice tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000… un vero ritorno a casa per molti metalheads cresciuti in quegli anni.

All’intro d’effetto “Insurgent” fa seguito il singolo “The 26th Machine”, crasi mancata dei titoli degli album “The Perfect Machine” e “The 25th Hour”, un brano potente che ci immerge in un futuro distopico in cui le macchine hanno imparato a programmarsi. Del resto, l’unico Dio possibile nel nostro mondo senza eroi è un mostro sintetico, meccanico e disumano.
 

If the first was nothing but a weird joke
If the second couldn’t speak
the 3rd already could rewrite its neural codes
Then a fourth a fifth and on
Each one better than before
Till the last one spoke in words unknown
No phrases told
For its toughts were running in codes.

 

Segue un brano dedicato agli eroi del passato: “3 Men Walk on the Moon”, un singolo con un ritornello molto immediato che narra l’epopea dell’Apollo 11, sbarcato sulla Luna cinquant’anni fa, il 20 luglio 1969, che vide protagonisti Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins… anche se quest’ultimo non toccò effettivamente la luna, rimasto a bordo del modulo in orbita attorno al nostro satellite.
Ancora su ritmiche arrembanti per “Fall from Grace”, che con l’uso massiccio di cori ricorda un po’ un brano dell’era Luppi. Buona anche la successiva “Where I God”, brano più esistenziale in cui la voce di Giannini mostra il suo lato più melodico. Al centro del disco è incastonata la quasi-titletrack “Now That All The Heroes Are Dead”, che parte a razzo con la chitarra di Olaf, per poi incedere nel classico crescendo su tappeto di tastiere che ci trasporta sulle note di un refrain in un mondo solitario senza più eroi, impreziosita da una sezione solista estremamente tecnica e ficcante, marchio di fabbrica dei Vision Divine.
Struggente la ballad “While the Sun is Turning Black”, con le chitarre ad alternare arpeggi soavi ad incursioni più pesanti e le tastiere che talvolta cedono il passo alle note del pianforte.
Continua l’epopea degli eroi, con la velocissima “The King of the Sky” dedicata a Manfred Albrecht Freiherr von Richthofen, meglio noto come “Il Barone Rosso”, pilota dell’aviazione militare tedesca durante la prima guerra mondiale, sul quale hanno recentemente scritto anche i Sabaton. Ancora sul sentiero della storia, verso un passato sempre più antico, dalla congiura che portò alla morte di Caio Giulio Cesare nella Curia di Pompeo in “On the Ides of March” alla battaglia delle Termopili dei valorosi “300” spartani guidati da Leonida e sconfitti dai persiani.
Dopo le citazioni dalla letteratura italiana di Petrarca, Pirandello e Cecco Angiolieri dei dischi precedenti, l’album si conclude con la bellezza inarrivabile dei versi de “L’Infinito del poeta recanatese Giacomo Leopardi, nell’anniversario dei duecento anni della sua composizione, enfatizzate dalla recitazione oserei dire “metal” dell’attore Alex Lucchesi che si eleva sulle ali delle melodie composte dai Vision Divine. Un salto verso la poetica del vago e dell’indeterminato, ma con il retrogusto di un pessimismo forte e pervasivo in tutte le composizioni del lotto.

When All the Heroes are Dead” è un disco meno immediato del predecessore, più eterogeneo nei temi ma dal fortissimo impatto emotivo, suonato in maniera impeccabile ma che necessita diversi ascolti per essere correttamente assimilato. Abbastanza inspiegabile la presenza di “Angel of Revenge” in tracklist, disponibile solo come bonus nell’edizione digipak, per un brano veramente potente che non ha eguali all’interno del disco. Come sopravvivere in un mondo senza eroi, senza paladini né angeli da inviare dal cielo? I Vision Divine sembrano non offrire alcuna risposta, graziandoci solo dell’infinita bellezza della ricerca nel passato del genere umano e dentro di noi, senza la presunzione di giungere ad una conclusione ferma e solida, in un viaggio che si preannuncia senza fine. E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Luca “Montsteen” Montini 
 

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