Recensione: When Dream And Day Unite

Di Ares982 - 4 Febbraio 2004 - 0:00
When Dream And Day Unite
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Anno: 1989
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79

Analizzando l’album, si può notare come molte delle idee fatte fruttare in futuro gettino proprio qui le basi, e come questo disco sia più che mai un fervente laboratorio dello stile che caratterizzerà decisamente i cinque musicisti. I problemi di fondo tuttavia, sono due e ben evidenti: la produzione approssimativa (la Mechanic non disponeva di potenti mezzi, mancanza riscontrabile anche nel successivo supporto all’album stesso), e Charlie Dominici. Quest’ultimo, pur autore di una prova vocale tutt’altro che disastrosa, mette in evidenza la carenza di potenza e carattere, necessarie invece per domare e guidare gli scatenati strumentisti alle spalle.
Ma andiamo con ordine: la prima traccia dell’album è “A Fortune In Lies”, che apre le danze mettendo sul tavolo le caratteristiche fondamentali dell’disco: la perizia di Mike Portnoy a modellare i tempi a suo piacimento e lo stile già virtuoso di John Petrucci. John Myung si presenta già come artista preciso e indispensabile nella sezione ritmica, mentre le tastiere di Kevin Moore, molto ottantiane come timbriche, colorano il suono nel modo delicato e geniale che tutti conosciamo essere solito all’artista.
La successiva “Status Seeker” è sicuramente una song molto diretta e hard rockeggiante, dal ritornello reso accattivante dal riffing di Moore e Petrucci. E’ a mio avviso questa la canzone che meglio si adatta alla voce di Dominici, che ben risponde ai cori dei suoi compagni; peccato per una produzione che non valorizza come dovrebbe questa performance.
La terza traccia è la storica strumentale “Ytse Jam”, che in futuro sarà una dei cavalli di battaglia dei live dei Dream Theater: potente, progressiva, tecnica e con tempi impossibili. In una parola, geniale. Degno di nota è il solo di Kevin Moore, che senza essere uscito dalla Juillard spara una raffica di note a cui possono fare eco solo il solito Petrucci e un incredibile assolo di basso di Myung, altro grande protagonista del brano.
“The Killing Hand” è un brano difficile da giudicare. Sicuramente ha un’atmosfera molto drammatica e ben gestita, che esplode intorno al sesto minuto con gli assoli di JP e KM. La voce di Dominici tuttavia non riesce a mantenere alta la tensione della canzone, che presenta già di suo qualche leggero punto morto. Tuttavia, complice sempre l’impeccabile Myung, il brano si mantiene sempre su alti livelli ove l’indiavolato Portnoy e la distorsione di Petrucci vengono a mancare.
La seguente “Light Fuse And Get Away” evidenzia la particolare vena progressive caratteristica della band, con elementi che molti riconosceranno stilisticamente anche in lavori successivi come “A Change Of Season”. La stessa originalità è riscontrabile anche in “The Ones Who Help To Set The Sun” e in “Only A Matter Of Time”, quest’ultima aperta da un ottimo Moore e ben scandita da Portnoy, al quale fa eco una buona prestazione di Dominici, bravo ad interpretare la ritmicità del brano, rotta nei giusti momenti dall’ispirato tastierista dei Chroma Key. “Afterlife” si presenta con un’intro quasi thrash, anche se successivamente perde questa configurazione e si assetta su binari decisamente meno heavy.
In conclusione, ci troviamo di fronte ad un embrione ormai ben delineato di quel che sarà l’enfant-prodige del prog novantiano, alias “Images and Words”, tuttavia già capace di graffiare da solo con piccoli capolavori del calibro di “Ytse Jam”, e sopratutto grazie ad una profonda alchimia tra i giovani strumentisti della band.
Se siete, come me, degli affezionati fan dei Dream Theater, quest’album sicuramente è fondamentale per comprendere uno dei più incredibili fenomeni prog degli ultimi 15 anni.

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