Recensione: When Fire Engulfs the Earth

Di Daniele D'Adamo - 19 Aprile 2016 - 19:52
When Fire Engulfs the Earth
Band: Dark Oath
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Pur essendo in giro relativamente da poco tempo (2009), i portoghesi Dark Oath hanno rimaneggiato più volte la propria line-up, prima di trovare la serenità e concentrazione necessarie per comporre un album. Debut-album, per la precisione, intitolato “When Fire Engulfs the Earth”.

Joël Martins, difatti, membro fondatore nonché unico superstite della formazione originaria, ha faticato parecchio prima di raggiungere l’agognata stabilità strutturale. Che, presumibilmente, ha trovato nella vocalist Sara Leitão un punto fermo su cui appoggiare le proprie fondamenta.

Fedeli alla tradizione iberica, che ha sempre prodotto degli ottimi ensemble nel campo del death metal, i Dark Oath, con “When Fire Engulfs the Earth”, dimostrano una volta di più che il melodic death metal è ben lontano da intonare il canto del cigno. Anzi, i Nostri ci mettono decisamente del loro, a rinnovare un genere che ha ormai più di vent’anni ma che, quasi… misteriosamente, riesce a trovare una via di uscita dal muro della noia e della banalità. Non è swedish e tantomeno gothenburg, quello elaborato da Martins. Niente a che vedere con gente come In Flames e compagnia similare, insomma. La band c’infila, non a caso, l’aggettivo epic, sì da coniare, alla fine, il termine epic melodic death metal. Una definizione forse ridondante, intesa nell’accezione sovrabbondante, ma azzeccata, perché così è, anche, il sound dell’act di Soure.

Il bellissimo growling misto a screaming della Leitão spezza finalmente la monotonia di female vocals tutte bravissime tutte ugualissime, interpretando a modo suo, direi unico, le linee vocali che la magistrale vena compositiva di Martins mette a sua disposizione. Sì, perché la musica dei Dark Oath è di altissimo livello artistico, ricordando – seppur su piani inferiori, ovviamente – i momenti più intensi degli insuperabili Nightwish. Prova ne sono song straordinarie, come ‘Watchman of Gods’, spettacolare cascata di note adamantine, esplosione di frammenti solari che illuminano lande immaginarie, campi per le epiche gesta raccontate dall’aspra ugola della Leitão stessa.

Niente clean vocals, niente ballate: potenza, potenza, potenza e ancora potenza – le chitarre sono due, e così deve essere, se si vogliono costruire immense, incommensurabili costruzioni dallo stordente impatto fonico. Che entra in ciascuna nota del disco e la fa deflagrare, proiettandola in direzione della Croce del Sud, leggendaria costellazione australe. E, proprio di mood da epopea ne è pieno, il sound dei Dark Oath, zeppo com’è di poderose orchestrazioni, soli strappalacrime, sterminati tappeti di tastiera. Una musica travolgente, trasognante, esaltante ma, anche, spesso e volentieri, melanconica. Al punto giusto per rammentare che la vita è anche, e soprattutto, male di vivere, tristezza, infelicità (‘Death of Northern Sons’). Le gesta degli Eroi sono improntate alla salvaguardia degli altri esseri umani, alla tutela dei valori che sostengono il vivere pacifico, al ferreo rispetto dei propri ideali primigeni. Inevitabilmente, il Male del Mondo li sconfiggerà, perché l’essere umano è animale feroce, non incline all’approfondimento dei sentimenti e delle emozioni positive.

Questa contraddizione è doppia: sia tematica, sia musicale. E, per questo, occorre assegnare grande merito al quintetto della Coimbra, che ha saputo trasfondere nella propria musica la struggente nostalgia che, inevitabilmente, per quanto sopra scritto, trafigge sino al midollo le trame dell’Iliade e dell’Odissea (‘Vengeful Gods’, ‘Brother’s Fall’).

Full-length di debutto coi fiocchi, per specialisti del genere ma non solo: i Dark Oath non potranno essere indifferenti a chi pone il centro delle emozioni non nel cervello, bensì nel cuore.

Promosso “When Fire Engulfs the Earth” e promossi i Dark Oath!

Daniele D’Adamo

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