Recensione: When The World Becomes Undone

Di federico venditti - 29 Marzo 2019 - 13:00
When The World Becomes Undone
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2019
Nazione:
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65

Sal Abruscato è uno dei sopravvissuti di quella florida scena thrash/hardcore nata a cavallo tra gli anni Ottanta e primi Novanta nei dintorni di Brooklyn, New York. Carnivore, BioHazard, Agnostic Front, MadBall, Life Of Agony e Type O Negative tanto per citare I primi nomi che mi vengono in mente. Beh Sal ha suonato la batteria sia nella prima incarnazione della band di Peter Steele, che nei primi due lavori degli amici Life Of Agony di Keith Caputo (ora Mina in seguito al suo cambio di sesso). Dopo una lunga pausa fuori dal mondo della musica, Sal nel 2011 ha dato alle stampe il primo lavoro con i suoi A Pale Horse Named Death, imbracciando questa volta la chitarra e cimentandosi nel ruolo di cantante.

And Hell Will Follow Me è stata una piacevole sorpresa ed anzi in molti, tra cui il sottoscritto, pensarono che i APHND potessero seguire le orme dei Life Of Agony ed addirittura dei leggendari Type O Negative con la loro riuscita formula a metà strada tra il goth doom della band di Steele e le melodie agrodolci degli Alice In Chains. Il secondo capitolo Lay My Soul To Waste di due anni dopo proseguiva il discorso intrapreso dal primo lavoro, pur mostrando qualche crepa nella rodata formula sonora di Sal. Dopo sei lunghi anni di attesa finalmente arriva questo When The World Becomes Undone, che non si sposta di una virgola rispetto ai due precedenti album, riproponendo la stessa miscela di ingredienti che questa volta però sembrano stantii e ripetitivi.

Sicuramente il disco non è brutto ed anzi offre delle canzoni interessanti, soprattutto nelle prime tracce, come nella nenia goth della title track o nella movimentata Love The Ones You Hate, con un bel assolo nella parte centrale del brano e un ritornello che si stampa subito in testa dell’ascoltatore. L’apice dell’intero album si raggiunge con la bella e ipnotica Vultures con dei riff doom pesanti e neri come la pece, supportati dalla voce cavernosa di Abruscato. Proseguendo nell’ascolto si entra in una certa ripetitività di fondo ed emerge un senso di compitino svolto in maniera scolastica, senza i guizzi dei primi due album o tantomeno delle band di ispirazione come i ToN. Le varie We All Break Down e Dreams of the End non aggiungono nulla ai primi brani ed appiattiscono l’intero lavoro verso una sufficienza striminzita.

Un vero dispiacere non parlare di album della svolta, in quanto ho sempre seguito con interesse gli A Pale Horse Named Death ed anzi aspettavo con trepidazione questo terzo disco. Peccato, occasione mancata!

 

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