Recensione: Where Dreams Are Forgotten

Di Marco Giono - 29 Novembre 2014 - 10:08
Where Dreams Are Forgotten
Band: Axenstar
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2014
Nazione:
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70

“Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci Ancora. Fallisci meglio”.

Non abbiamo idea se gli Axenstar conoscano questa celebre citazione di Samuel Beckett, eppure queste poche parole ben riassumono la strada che hanno dovuto compiere per arrivare alla loro ultima creatura “Where Dreams Are Forgotten”. Dove i sogni vengono dimenticati, ma la speranza di quei sogni è una spinta a tentare di nuovo.

Gli esordi con “Perpetual Twilight” (2002) ed il suo imitare le muse giovanili – Stratovarious e Sonata Arctica su tutti – erano un tentativo non riuscito, anche per limiti tecnici di una formazione ancora acerba e perché, in fondo, più semplicemente, non era ancora il momento giusto.
Da quel 2002 ad oggi si sono susseguiti anni turbinosi, cambi di line up (i due fondatori lasciano) in cui sopravvive solo Magnus Winterwild (voce e basso); quindi ripetute variazioni di etichetta, fino ad approdare nel Luglio 2014 alla Inner Wound Recordings.
Nel frattempo gli album si susseguono alla ricerca di un equilibrio musicale che spinga al di fuori del pantano di clichè di un power metal avvitato su stesso, con doppia cassa dominante, ritmiche serrate asservite alle linee vocali e melodie non sempre ben definite e quindi dimenticabili.
Troppo standard e ripetitiva la loro musica per lasciare il segno.
Nel 2011 con “Aftermath”, dopo cinque anni di quiete e di frustrazione, gli Axenstar forniscono una prova alterna lasciandoci intravedere tuttavia come nella coerenza del proprio credo musicale esista una volontà a modificarsi e cercare alternative.
La loro ultima fatica è un altro passo in avanti deciso verso una definizione di se stessi che potrebbe essere il preludio ad altre sorprese future.  
“Where Dreams Are Forgotten” si presenta con una copertina di Felipe Machado, artista ormai ben conosciuto (fin troppo) nel mondo metal per gli artwork di Axel Rudi Pell (con cui ha iniziato), Blind Guardian, Iced Earth ed altri che, tuttavia, questa volta appare meno che di discreta fattura: a tratti le immagini sono confuse, con colori scuri ed un tema che vorrebbe (si presume) mettere in risalto lo scontro tra bene e male.  
Si ha però l’impressione che l’idea rimanga solo abbozzata.

La prima traccia s’intitola “Fear”, ritmiche serrate e chitarre distorte si distendono fino ad introdurre  la voce di Winterwild in una rabbia controllata a raccontarci di sogni, paure e del tempo immutabile. A metà della canzone i ritmi cambiano, si rallenta e il riff diventa granitico; la chitarra di Joakin Jonsson dialoga in velocità con la ritmica di Jens Klovegard, il tutto sostenuto dalla batteria di Adam Lindberg in grado di variare tra velocità sostenute e passaggi più meditati, con precisione ed equilibrio, senza eccessi di protagonismo. Il passaggio strumentale si conclude con il chorus immediatamente riconoscibile e ben riuscito.
Un canovaccio che valeva la pena descrivere: le undici tracce dell’album seguiranno senza troppe variazioni  questo schema.
Quello che eleva “Where Dreams Are Forgotten” dai precedenti lavori dal punto di vista strumentale è un riffing più maturo e roccioso, associato ad una sezione ritmica più varia che si discosta dallo schema troppo ripetitivo e dozzinale della doppia cassa.
Dal punto di vista delle vocals, Winterwild risulta credibile e carico di energia, immerso in melodie ben riuscite e cori distinguibili, di immediato impatto.
Così vale la pena segnalare “Curse of Tyrants”, dove gli Axenstar diventano aggressivi con riff che rimandano a tempi antichi; un brano che ricorda i Symphony X, riferimento che ritorna in questo album e suggerisce un passaggio verso sonorità più vicine al power USA rispetto a quelle più tipicamente scandinave e “finlandesi” degli esordi (tuttavia  ancora presenti, sopratutto in alcuni ritornelli). Da ascoltare anche “Annihilation”, episodio in cui un arpeggio piuttosto classico sfuma in un incedere potente cadenzato da batteria e riff di chitarra, per poi deflagrare grazie all’utilizzo di cori a fare da contrappunto al cantato rabbioso. Il bellissimo ritornello, immaginiamo possa essere di grande impatto dal vivo.
Ed ancora  una menzione per “This False Imagery” che ci mostra una band in forma ed ispirata, pur senza discostarsi dal resto: la melodia rimane impressa e rivendica con forza di essere ascoltata più volte.
Gli altri pezzi, pur se in tono un po’ minore, rimangono validi e non troppo lontani per qualità compositiva da quelli descritti.

Gli Axenstar non sono certamente esempio di originalità assoluta, ma la loro forza sta nel rispondere al canone metal con rabbia, grinta e tenacia, nell’aver trovato uno stile ed un proprio equilibrio.
Il limite della loro proposta musicale risiede nell’eccessiva standardizzazione delle tracce proposte, di soluzioni che si ripetono senza mai rischiare troppo.
“Where Dreams are Forgotten” è ad ogni modo un buon album che non merita certo l’oblio, molti passaggi possiedono forza trascinante nella loro semplicità e rappresentano una valida alternativa per coloro cercano un power metal veloce, potente e senza troppi fronzoli.

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