Recensione: Where Men Breakes

Di Tiziano Marasco - 24 Aprile 2014 - 5:12
Where Men Breakes
Band: La Sfera
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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78

Con un certo qual colpevole ritardo giunge l’analisi su Where man breakes, seconda prova dei laziali La Sfera, e di ben sei anni posteriore al debutto La Fabbrica dei Suoni Irraggiungibili. Sei anni durante i quali i nostri hanno avuto possibilità di riflettere ed hanno avuto un indiscutibile risvolto di forma. Al cantato in italiano, stavolta, viene preferito quello in inglese.

Oltre a ciò possiamo aggiungere il fatto che i nostri questa volta ci propongano un concept album di stampo new age nel quale la Terra, indispettita dall’ingratitudine degli uomini, condanni la nostra specie all’estinzione. Concept che al recensore darwinista proprio non va giù, essendo più propenso a catastrofi di matrice aliena come narrano gli Ayreon o i Between the Buried and Me.

Ad ogni modo siamo qui a parlar di musica e dobbiamo dire che, sotto tale aspetto, i nostri hanno decisamente smussato le imprecisioni del loro debut e sono riusciti a rendere la loro proposta decisamente più personale. A riprova di ciò, riesce piuttosto difficile inquadrare il genere di riferimento del disco. Si potrebbe chiamare in causa il prog, data la varietà e la struttura di diverse canzoni. Si potrebbe citare l’hard rock per certe chitarre. Non si può trascurare l’alternative metal di gruppi come Tool o certi Anathema, soprattutto quelli di Alternative 4.

In tal senso un brano emblematico può essere già il brano d’apertura Sixther, strano incrocio tra le chitarre acustiche degli Antimatter e le tastiere ma soprattutto la voce di David Sylvan, salvo poi prendere quota con un finale decisamente granitico. Altro brano carico di fascino è Oh Mother, if I could, vale a dire l’incontro tra hard rock, new wave e primi Depeche Mode. Due brani che mettono in risalto l’incredibile voce di Daniel Pucci, un po’ Miro Sassolini e un po’ Dave Gahn, ma pure la duttilità del gruppo per quanto concerne il songwriting.

Altro pezzo interessante è Black Box, che parte decisamente new wave e si trasforma in qualcosa di assolutamente indecifrabile, mentre Their Path riporta in vita, ancora una volta, quegli Anathema di Alternative 4 (stavolta s’intenda la canzone vera e propria). Ottima ancora la brevilinea A Key for my Life, che ci riconduce alle brulle atmosfere acustiche di apertura, siccome la più moderna  Predictable Nature, fino alla conclusiva Gray skyes, triste e malata, ancora una volta il singer sugli scudi ed intento a dar prova di un registro vocale davvero sfaccettato.

In buona sostanza La Sfera si è fatta attendere, ma nel corso del tempo ha saputo evolversi in maniera profonda, ponendo rimedio a molti dei limiti che penalizzavano il debut. Where Men Breakes è un disco di cui il metallo e il rock italiano in generale possono andare ben fieri. Un disco originale e carico di personalità, eclettico e compatto ad un tempo, dotato financo di un respiro internazionale. Insomma, al momento l’unico problema della Sfera sembra essere la prolificità (2 release in 6 anni sono poche anche per gli standard di un gruppo neoprog), ma abbiamo piena speranza che il sestetto laziale sappia porre rimedio a questo limite.

Tiziano Vlkodlak Marasco

Sito ufficiale della Sfera

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