Recensione: Where Owls Know My Name

Di Daniele D'Adamo - 23 Marzo 2018 - 15:50
Where Owls Know My Name
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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85

In tanti hanno provato a inzuppare il technical death metal nel brodo delle contaminazioni, non sempre con esiti positivi per via di una non ottimale miscelazione fra la brutalità del metal estremo stesso e la poliedricità delle forme musicali ipotizzate.

Stavolta tocca ai Rivers Of Nihil, a cercare sul serio la quadra di un dilemma di difficile soluzione. Infettando il loro stile lindo e pulito, chirurgico, spietato, fatto di grande capacità tecnica, con virus quali l’elettronica (‘Terrestria III: Wither’), il jazz, l’alternative e il folk; volendo redigere un elenco esemplificativo ma non esaustivo delle fogge musicale toccati dal formidabile quintetto statunitense nel suo terzo full-length in carriera, “Where Owls Know My Name”. Con, in più, un valore aggiunto estraneo, il linea di principio, al ridetto technical death metal: la melodia.

Così facendo, l’impostazione delle dieci canzoni che compongono il platter dà vita a uno stile assolutamente personale, ricco di carattere, ben sicuro di inerpicarsi con in mano la giusta ricetta sulle vette di un sound caleidoscopico, imprevedibile, dalla lunga longevità. Tale, cioè, da rendere imprescindibili parecchi ascolti per raggiungere il corretto stato mentale onde godere appieno delle composizioni presenti nel disco.

È già impressionante, per eempio, come Jake Dieffenbach riesca a cantare, cioè a intonare linee vocali precise e in sinergia con le parti musicali, partendo da hars vocals roche e aggressive. Dieffenbach, davvero bravo, offre una palese dimostrazione di come sia possibile esibire vocals estreme legandosi in maniera perfetta con l’andamento complesso e articolato della strumentazione elettrica. Che, restando fedele al genere natìo, sfodera una quantità di riff mostruosa, dura e massiccia (‘A Home’, ‘Old Nothing’), formante senza indugio il classico muraglione di suono che, però, in questo caso, presenta un’infinità di disegni dettati dal tentacolare approccio alla questione da parte dei Nostri.

La presenza di stupendi intarsi incisi dal sax, rilevabile per esempio in ‘The Silent Life’, con relativi assoli di stampo classico, quindi armonico, non deve tuttavia far dimenticare l’etnia sonora della band di Reading, che, quando vuole, sfodera clamorosi attacchi di death puro lanciato alla massima velocità possibile (‘Death Is Real’). Ciò, grazie alla precisione di Jared Klein, batterista in grado di attaccare al massimo con un’incredibile solidità da parte dei suoi blast-beats, come nella fantasmagorica suite ‘Subtle Change (Including the Forest of Transition and Dissatisfaction Dance)’, ricca di segmenti jazzistici di gran valore, e, pure, della presenza di un organo dal suono “Hammond”, che dona al tutto quel po’ di sapore vintage che non guasta mai.

Non si possono non menzionare, infine, anche le altre due suite, quelle finali, la title-track e ‘Capricorn / Agoratopia’, veri e propri viaggi nell’universo più profondo e introspettivo della musica dei Rivers Of Nihil, all’uopo meno feroci e più propensi alla meditazione. Suite che rivelano, senza alcun dubbio, un talento compositivo semplicemente senza fine.

Un album che deve possedere ogni appassionato di metal, poiché la sua struttura, seppur imbastita sulla seria potenza del technical death metal, è alla fin fine alla portata di tutti. Proprio in virtù delle numerosissime e riuscitissime contaminazioni esterne. Un punto di riferimento, insomma.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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