Recensione: Where Stories End

Di Massimo Ecchili - 27 Dicembre 2010 - 0:00
Where Stories End
Band: Darkwater
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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62

In un’annata che ha visto la prua della nave prog metal virare e indirizzarsi verso lidi classici, tornano ad aggregarsi alla ciurma gli svedesi Darkwater, perfettamente a loro agio nel percorrere una rotta sicura e familiare.
Where Stories End sbarca sul mercato a tre anni di distanza da Calling The Earth To Witness, buon esordio per il combo svedese formatosi nel 2003. L’unica novità nella formazione riguarda l’avvicendamento di Karl Wassholm, uscito dalla band nel 2009, con Simon Andersson, che per un breve periodo ha suonato il basso a tempo pieno nei Pain Of Salvation.
I Darkwater sono indubbiamente dei buoni musicisti, ma mai come in questo Where Stories End il tutto sembra inferiore alla somma delle parti. Ascolto dopo ascolto si cercano particolari interessanti, ma si finisce per rendersi conto che è tutto come lo si era ascoltato la prima volta. Il binario sul quale viaggiano gli svedesi è quello già percorso da band quali i Vanden Plas, con un occhio di riguardo per la melodia, un gran lavoro delle tastiere ed una sezione ritmica discretamente dinamica.

Breathe dà il benvenuto con la tastiera a disegnare l’impianto melodico sul quale Sigfridsson stampa dei riff piuttosto solidi.  Båth non riserva sorpresa alcuna: è indubbiamente un cantante di tutto rispetto, ma manca fondamentalmente di potenza, quella che potrebbe mischiare le carte in casa Darkwater. Anche la produzione non convince del tutto, mancando l’obiettivo di legare il tutto in maniera convincente e dando scarso risalto alle chitarre.
Why I Bleed non regala sussulti, confermando il lavoro più che buono di Holmberg ma proponendo questa volta dei riff chitarristici poco incisivi; il risultato è una mid-tempo con un ritornello molto orecchiabile che di certo non farà la storia del genere, soprattutto perchè, se potrebbe anche funzionare abbastanza bene come canzone nell’accezione classica del termine, la scelta di dilatarla eccessivamente non si dimostra vincente. Nemmeno la successiva Into The Cold riesce a destare particolare interesse e sono ancora una volta le tastiere di Holmberg (ottime le sue orchestrazioni) a rendere l’ascolto tutto sommato gradevole.
A Fools Utopia rientra di diritto tra le cose meno riuscite di Where Stories End: inizia come una ballad, ha una strofa bella tirata ed un ritornello che c’entra talmente poco col resto che sembra sia stato inserito a martellate. L’impressione è che dentro ci siano alcune buone idee, ma siano state messe a convivere un po’ troppo a forza. Oltretutto il pedissequo rispetto della forma canzone contribuisce a far scemare molto presto l’interesse; interesse che non può di certo essere risvegliato da qualche digressione strumentale atta per lo più a dilatare il minutaggio dei singoli brani.
Anche Queen Of The Night si mantiene su livelli di sufficienza e poco più: solita perizia tecnica poco incisiva. Per fortuna arriva In The Blink Of An Eye a risollevare le sorti di Where Stories End, proprio quando stava giungendo la rassegnazione per qualcosa che poteva essere ma non è stato. Qui c’è il vero punto di partenza dal quale devono muovere in futuro I Darkwater per non perdersi nel mare dell’anonimato: il brano è ben costruito, con un refrain accattivante, frasi sempre ben legate tra di loro ed un ritornello orecchiabile che rimane in testa da subito. Una ricetta che richiama alla mente lo stile dei Fates Warning di Parallels: semplice, efficace e vincente. Certo, vien da mordersi le mani a sentire quello che i nostri potrebbero e dovrebbero fare sempre, ma è comunque un raggio di luce in previsione futura. Anche Fields Of Sorrow si attesta su buoni livelli, grazie soprattutto ad un tema tastieristico degno di nota e ad un’atmosfera alquanto cupa supportata da un riffing pesante quanto basta. Con Without A Sound ci si riavvicina alla mediocrità, nonostante degli scambi chitarra/tastiera degni di nota. La chiusura è affidata a Walls Of Deception, la quale non si discosta da quanto ascoltato fin qui: sezione ritmica potente e precisa ma piuttosto incapace di dare scossoni, sovraesposizione delle tastiere, cantato melodico ma non troppo efficace, soli tecnici ma che non impressionano.

Where Stories End non permette ai Darkwater di fare grandi passi avanti rispetto al debutto Calling The Earth To Witness, che aveva destato parecchio interesse tre anni or sono. Le potenzialità ci sono, le idee anche; quello che forse manca è la capacità di sviluppare il tutto in maniera più precisa in fase di songwriting. Pesa inoltre l’assenza di quello che I Darkwater, per caratteristiche e stile, dovrebbero essere in grado di fare al meglio: una vera e propria ballad; questa è assolutamente una sorpresa, anche se non propriamente positiva.
Tirando le somme la nuova fatica degli svedesi, seppure non da scartare del tutto, non è uno di quei dischi che resteranno negli annali del genere. E’ vero che si possono creare opere magnifiche anche senza discostarsi troppo da una canonicità stilistica anche marcata, ma per farlo è necessario che tutto funzioni a meraviglia. In Where Stories End, per quanto dispiaccia sottolinearlo, così non è. In definitiva i Darkwater, nella nave prog metal del 2010, non intendono certo ammutinarsi, nè d’altronde sembrano averne le capacità; sono dei buoni rematori, ma la rotta è tracciata da altri e, continuando così, non vedranno mai il timone a portata di mano.

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Tracklist:
01. Breathe
02. Why I Bleed
03. Into The Cold
04. A Fools Utopia
05. Queen Of The Night
06. In The Blink Of An Eye
07. Fields Of Sorrow
08. Without A Sound
09. Walls Of Deception

Line-up:
Henrik Båth – Vocals, Guitars
Markus Sigfridsson – Rhytm and lead guitars
Simon Andersson – Bass
Tobias Enbert – Drums
Magnus Holmberg – Keyboards

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