Recensione: White Devil Armory

Di Eric Nicodemo - 29 Luglio 2014 - 7:45
White Devil Armory
Band: Overkill
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2014
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
83

Trascorsa l’epoca d’oro degli Eighties e la minaccia di una presunta commercializzazione del genere (ad opera di alcune ballad ed album discutibili…), il thrash metal statunitense, pur rimanendo vivo e vegeto, è ritornato nell’underground musicale, cedendo lo scettro a quello teutonico, che in terra natia non hai mai desistito, continuando tuttora il proprio cammino, incurante delle mode attuali.

Un’inflessione che è propria di questo movimento ed è l’anima profonda radicata in complessi storici come gli Overkill, monicker che non ha bisogno di presentazioni per gli affezionati del genere. Al di là di una coerenza incrollabile, il segreto per mantenere vivo lo spirito di una band così fondamentale è la capacità di conservare ispirazione e tiro, come ai bei vecchi tempi (concetto ribadito nel precedente “The Electric Age” e nell’incendiario “Ironbound”).

Beh, ragazzi, laddove molti complessi languiscono o seguono lo spettro del proprio passato, ripiangendone i fasti, i Nostri rilasciano questo “White Devil Armory”, che suona come un avvertimento (o schiaffo) nei confronti dei detrattori della scena e dei suoi protagonisti.

Sarà forse il desiderio di rivincita o un momento d’ispirazione, comunque sia, le armi forgiate nella diabolica fucina dei Nostri funzionano a meraviglia, sfoderando tutto il loro dirompente potenziale lungo l’intero platter, senza particolari cadute di tono o stonature, fin dalla prima canzone, capace di affondare le zanne come solo i vecchi Overkill sapevano fare: dopo un breve incipit d’atmosfera (intitolato “XDM”), la furia di “Armorist” viene letteralmente concentrata e rilasciata in raffiche selvagge quando la voce, stridente ed aspra, si unisce in un collettivo furioso con l’ossessivo drumming e l’impietoso guitar play. Ed è incredibile come il combo riesca ad unire melodia e lacerazioni thrash nell’orecchiabile chorus, connubio tra potenza e groove che raggiunge l’apice compositivo nel frenetico break chitarristico. Infatti, è un piacere assaporare assoli che tratteggiano un arco melodico duro ed incalzante, ma altrettanto coinvolgente grazie alla scelta di accordi azzeccati, mai superflui o fuori posto, mai troppo aggrovigliati e confusi.

Insomma, già l’opener mette in luce le qualità dell’ultimo parto in casa Overkill, dove il songwriting mantiene tutti gli elementi che hanno reso grande questo gruppo. In aggiunta, l’esplosiva carica adrenalinica viene incanalata e dispensata con chirurgica precisione grazie ad un livello compositivo ormai maturo, limato dai difetti quali ingenuità o prevedibilità e autocitazionismo, vero tallone d’Achille di tutte quelle band dall’onorata carriera.

La ruvidezza degli esordi è trascorsa, filtrata e raffinata in “The Years Of Decay” e “Horrorscope”, e il nuovo full-length sembra conservare ed attualizzare quella maturità: una riflessione che potremo constatare nel refrain di “Down To The Bone”, che si nutre di chitarre irrequiete e penetra con facilità nella nostra mente grazie a strofe dal ritmo concitato e arrembante. Più intricato ed elaborato il bridge del main guitar, mai sazio della giusta dose di grip abrasivo e melodia, tra cambi di tempo, brucianti accelerazioni e pattern deraglianti.

Un album di thrash deve ovviamente rispettare un imperativo fondamentale: essere fedele ai propri tratti distintivi, primo fra tutti una critica sociale priva di compromessi. Una regola pienamente rispettata dalla lapidaria “Pig”, che senza troppi riguardi denuda la condizione umana con un violento, martellante mosh, spezzato solo da alcuni inframezzi rallentati, senza mai perdere l’impatto del muro sonoro.

Bitter Pill” migliora le cose per gli Overkill ma non per i più “pacifisti”, in cerca di sonorità tranquille e meditate: in questa fossa si innestano tetri arpeggi d’apertura, vibrati inquietanti e labirinti chitarristici mutevoli, arrangiati come un unico cammino tortuoso. Domina la presa d’acciaio del rifferema ostinato, che trova nella voce roca e velenosa di Ellsworth il proprio diabolico interlocutore. Un pezzo magnifico, sempre in bilico tra immediatezza e capacità compositive non comuni…

Rabbia chiama rabbia: il fuoco serrato della sessione ritmica divampa in “Where There’s Smoke”. Solo pochi minuti e sarete circondati dall’incendio della sei corde, in grado di distillare una soluzione corrosiva di suoni vorticosi e lancinanti, tonalità che si muovano come inarrestabili fiamme dell’inferno.

Il fuoco devastante della distruzione non si estingue, né accenna a diminuire in “Freedom Rings”, percorsa dalla violenza di un mondo schiavo della pazzia umana. Gli Overkill allestiscono per l’occasione un mood convulso, ricco di cambi di tempo, che dal refrain sincopato si eleva nell’epica teatralità dei vibrati maideniani (d’altronde, già la vecchia “End Of The Line” tradiva le influenze del combo newyorkese…). Al di là di certi stilemi, il pezzo è intriso di una carica travolgente e da il meglio nel crescendo solista.

Un altro shot, un’altra prova di forza nelle vesti mortifere di “Another Day To Die”. Voci sprezzanti, taglienti come frammenti di vetro insanguinato, si divincolano impazzite per sferrare terribili fendenti verso l’ignaro ascoltatore. In questo vortice di suoni, contorto ed inarrestabile, non c’è spazio per la calma riflessiva di un lento: se il ritornello è un ariete poderoso e pressante, la sessione innescata non è meno elettrizzante, giocando su innesti che sprigionano una ferocia studiata nei minimi dettagli, dagli assoli ai deliranti funambolismi del guitar play.

In questo simposio di brutale lucidità innalziamo un inno al nostro signore, “King Of The Rat Bastards”. Lungo questo regno di sopraffazione e soprusi, il riff imbevuto di epica distruzione riconosce il proprio re in Ellsworth, capace di dominarci nel giogo di un ritornello così incalzante che imprime un marchio rovente sulla nostra pelle. Un altro episodio bruciante che regalerà più di qualche soddisfazione ai seguaci del thrash.

Nessuna concessione per i tempi morti nemmeno nell’intimidatoria “It’s All Yours”, che si sofferma solo al centro del brano, per creare un momento di spaesamento. Un pit stop fugace, da cui riacquista terreno Linsk, riaprendo le ostilità nel turbine solista e continuando il massacro nel repeat del tema centrale.

In The Name” lancia l’offensiva finale mentre Bobby urla isterico il suo giuramento altero e spietato. E’ una chiusura ritmata con numerose pause, che imprimono un andamento marziale e terremotante al brano. Il main vox si apre ad un vocalizzo teatrale, sostenuto più avanti dall’incitamento dei backings, e il contesto drammatico si arricchisce e si completa di assoli espressivi. La closer stupisce per dinamicità e ingegno, dimostrandosi atipica per il thrash più canonico, senza snaturare la carica eversiva che gli è propria.

L’ascolto dell’ultimo brano conferma quanto visto in apertura dell’album: “White Devil Armory” impone una tracklist intrigante, dall’impeto instancabile, che non sembra appartenere ad una band che ha quasi trent’anni di carriera sulle spalle. Dall’altra parte, i più critici imputeranno una mancanza di novità memorabili o la genuina, grezza spontaneità degli esordi marchiati “Feel The Fire”.

Certo, quest’album nulla toglie e nulla aggiunge alla proposta delle due precedenti uscite ma è altrettanto vero che lo spirito degli Overkill si è mantenuto intatto, aspetto da non trascurare se consideriamo che cosa provochi il ristagno di idee e l’apertura a nuove sonorità, nel tentativo (talvolta disastroso) di accontentare neofiti e fan di vecchia data.

Quello che abbiamo davanti è, infatti, un complesso mai dimentico delle sue radici e, cosa ancora più importante, dimostra in questo ultimo lavoro ciò che molti non sono riusciti a fare nel tempo: non tradire i propri ideali per logiche commerciali, riproponendosi con la giusta sete di competizione ed ispirato entusiasmo, il viatico necessario affinché una band storica rimanga un esempio da seguire fino ad oggi.

Per cui siete avvertiti: gli Overkill non hanno allentato la presa e sono rientrati in scena da protagonisti indiscussi per rivendicare la corona del thrash metal. Un avviso che vale soprattutto per qualche spento veterano, ormai da troppo tempo privo della voglia di confronto, mollemente adagiato sugli allori di un lontano passato…

Eric Nicodemo

Discutine sul forum nel topic dedicato agli Overkill!

Pagina ufficiale Facebook degli Overkill

Ultimi album di Overkill

Band: Overkill
Genere: Thrash 
Anno: 2023
85
Band: Overkill
Genere: Thrash 
Anno: 1987
92
Band: Overkill
Genere: Thrash 
Anno: 2019
82
Band: Overkill
Genere:
Anno: 2012
85
Band: Overkill
Genere:
Anno: 1985
86