Recensione: Whitechapel

Di Daniele D'Adamo - 15 Giugno 2012 - 0:00
Whitechapel
Band: Whitechapel
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
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85

La loro storia inizia, soltanto, nel 2006. Con il ‘soltanto’ a indicare che i Whitechapel sembra poggino i piedi sul deathcore da così tanto tempo da poterne essere se non i precursori, se non gli inventori, almeno i primi alfieri. Una sensazione tangibile, questa, che dimostra inequivocabilmente l’incredibile sinergia fra la band statunitense e il genere stesso. Una simbiosi così forte da rendere la band medesima, assieme ai tedeschi Heaven Shall Burn, una fenomenale interprete dell’attuale scena planetaria, almeno a parere di chi vi scrive.  

Una volta appuntato il cambio, alla batteria, di Kevin Lane con Ben Harclerode, occorre immediatamente osservare che “Whitechapel”, quarto full-length in carriera, sia l’evoluzione più naturale del precedente “A New Era Of Corruption”. Niente colpi di testa, niente azzardi, niente ripensamenti: i Whitechapel battono il piede sulla sostanza del loro sound, operando dei leggeri aggiornamenti per far sì, di nuovo, che un loro album possa essere preso come punto di riferimento per il migliore deathcore dell’anno. Le differenze con il predecedente lavoro, difatti, non sono così evidenti, almeno a un ascolto distratto. Riguardano, essenzialmente, il modus operandi della composizione, più concentrato verso la canzone in sé invece che sulla determinazione di un suono il più possibile devastante. Non che “Whitechapel” si possa definire ‘leggero’. Tutt’altro: la capacità del combo americano di spingere la pressione sonora a livelli impossibili è praticamente inalterata. Si tratta, piuttosto, della ricerca di soluzioni variabili all’interno, sì, di un vero e proprio inferno di fuoco, a volte, però, evitando di proporre passaggi ‘picchia duro e basta’ per dar sfogo a una maggiore eterogeneità sia nella struttura musicale, sia nelle melodie – non certo da melodic death metal ma comunque presenti con una certa regolarità. Phil Bozeman, puntualmente, come esige il suo personalissimo stile, fa davvero paura nell’interpretazione delle linee vocali. Un’angoscia primordiale, istintiva che fonda le sue radici nella percezione di uno stentoreo growling, venato dall’inhale, che pare arrivare dai polmoni delle gigantesche belve che popolavano il Cenozoico. Come lui, anche il mostruoso trio composto da Alex Wade, Ben Savage e Zach Householder non dà mai tregua nella perenne costruzione di una sterminata muraglia di suono, elaborata su una fittissima rete di granitici riff, costantemente arrotolati su se stessi. Completa l’opera demolitrice il drumming rutilante e fulmineo di Harclerode, sostenuto dalle bordate del basso di Gabe Crisp.     

La citata aria di… leggera novità si respira sin da subito: il dolce, struggente incipit di “Make It Bleed” è un leitmotiv che si troverà altre volte, lungo “Whitechapel”. Poi, inesorabilmente, il complicato quanto scarificante riffing di Wade e compagni prende il sopravvento per una song da sconquasso totale. Le ondate dei blast beats si frammentano in ritmi sempre sostenuti ma più trascinanti sino a culminare nell’immancabile break centrale rallentato, dalla dinamicità e potenza straordinaria: la discesa negli abissi ha avuto inizio! Poi, si decelera ancora per sondare, con i laceranti soli delle asce, i tenebrosi anfratti del dolore fisico per arrivare, quindi, alla chiusura del pezzo, profonda, calda e semi-melodica. Un’opener dall’impatto clamoroso che la dice lunga sul resto del CD, insomma. “Hate Creation” è un’altra bombardata sulle gengive: inizio violentissimo e successiva discesa nelle profondità oceaniche sono i due caratteri che la distinguono. Il segmento intermedio, tuttavia, lascia nuovamente intravedere la tendenza ad alleggerire certi passaggi. La feroce dissonanza che segna, spesso e volentieri, i brani deathcore fa capolino, con brutalità, in “(Cult)uralist”, frantumata dalle ondate dei blast beats di Harclerode con un interessante intarsio ambient dal sapore cibernetico, alla fine. I campionamenti elettronici fanno da intro in “I, Dementia”, pezzo lento e disarmonico dall’oppressiva pesantezza che culmina, nella seconda parte, in alcune soluzioni melodiche di ottimo livello. “Section 8” (ri-registrata dall’EP dell’anno scorso “Recorrupted”), negli automatismi ritmici, richiama con decisione il cyber death metal dei Fear Factory, cui i Whitechapel si avvicinano con istintiva naturalezza senza modificare il proprio stile che, è bene sottolinearlo, non è mai messo in discussione dai sei loschi figuri per adattarlo alle novità messe in campo. “Faces”, come per ribadire questo fatto, è un altro pezzo da sfascio, diretto e frontale, con dei breakdown da togliere il fiato. L’accordatura ribassata delle tre chitarre fa davvero male, in “Dead Silence”, ove compare uno stupendo ritornello che rimarrà sicuramente per un bel po’ di tempo, in testa, con i toni morbidi ascoltati all’inizio del platter che compaiono ancora per chiudere il pezzo. Il mid-tempo di “The Night Remains”, dall’immaginario evocativo, spezza la schiena ma, contemporaneamente, dipinge uno scenario tetro e oscuro. E così si giunge a “Devoid”, struggente composizione al pianoforte che, a rilento, sale d’intensità grazie alla micidiale strumentazione elettrica: un ponte dalla melodiosità incredibile per fare da sponda alla cadenzata “Possibilities Of An Impossible Existence”, canzone conclusiva il cui mood, tuttavia, si lega con quello di “Make It Bleed” per formare, in tal modo, un cerchio che non abbia soluzioni di continuità qualitative.          

“Whitechapel” non va né avanti, né indietro, rispetto a “A New Era Of Corruption”. È, semplicemente, qualcosa di diverso. Invece, i Whitechapel rimangono fra i migliori, se non i migliori, interpreti mondiali del moderno deathcore.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Make It Bleed 4:12     
2. Hate Creation 3:29       
3. (Cult)uralist 3:42     
4. I, Dementia 4:43     
5. Section 8 4:26       
6. Faces 3:12     
7. Dead Silence 4:38     
8. The Night Remains 2:58     
9. Devoid 2:50     
10. Possibilities Of An Impossible Existence 4:00       

Durata 38 min.

Formazione:
Phil Bozeman – Voce
Alex Wade – Chitarra
Ben Savage – Chitarra
Zach Householder – Chitarra
Gabe Crisp – Basso
Ben Harclerode – Batteria
 

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