Recensione: Wicked Polly

Di Riccardo Angelini - 3 Marzo 2009 - 0:00
Wicked Polly
Band: Mena Brinno
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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50

Progetto ambizioso quello dei floridiani Mena Brinno, che in barba a qualsivoglia stereotipo geografico imboccano con decisione la strada della melodia. A cavallo fra metal classico, gothic, folk e sinfonia, questi figli degeneri della Bay Area tentano con il loro secondo disco da studio di dare visibilità a un genere che al di là dell’oceano non è mai riuscito a riscutere grande successo. La band nasce dall’incontro dell’ex-cantante d’opera Katy Decker e del chitarrista Marius Kozlowski, i quali dopo una breve collaborazione nei Royal Anguish hanno scoperto di condividere le medesime mire musicali. Nel 2007 vede così la luce ‘Icy Muse’, utile agli statunitensi per consolidare l’affiatamento e per cominciare a dare visibilità al progetto. Con il 2009 scocca l’ora di ‘Wicked Polly’, banco di prova al quale i Mena Brinno sono chiamati a dimostrare di fare sul serio.

Kozlowski e soci non fanno mistero di puntare tutto sull’impostazione operistica di Katy, la cui bella voce si erge a protagonista fin dalle prime note, e sull’impatto degli arrangiamenti orchestrali, cui spetta il compito di sostenere l’apparato melodico, nella sua duplice radice gothic e folk. Alla ricerca di un equilibrio ottimale, la tracklist alterna episodi di gusto popolare, a tratti quasi danzereccio, a momenti più riflessivi, concedendo volentieri spazio ad accelerazioni ritmiche dal dichiarato intento epico (è il caso di ‘Secrets Of War’).
Il limite fondamentale dei Mena Brinno sta nel fatto che il bacino di idee dal quale attingono è già stato ahiloro prosciugato da dozzine di colleghi europei nell’arco degli ultimi dieci-quindici anni. In alcuni casi le composizioni appaiono semplicemente ingenue ovvero obsolete, ripetendo a pappagallo una lezione già detta e stradetta dai vari Within Tempation, Nightwish o Rhapsody di prima maniera. In altri casi i rimandi si fanno più diretti e smaccati: il refrain dell’opener ‘Banks Of The Ohio’, tanto per fare un esempio, farà certo rizzare le orecchie ai fan degli Hammerfall di ‘Glory To The Brave’ (provate a riascoltare ‘The Dragon Lies Bleeding’ e tirate le vostre conclusioni). Se le melodie appaiono sempre orecchiabili, le strutture si rivolgono a formule stereotipate, che stancano con la stessa rapidità con la quale si lasciano memorizzare. Le chitarre esitano a prendere il controllo e, quel che è peggio, quello che doveva essere uno dei maggiori punti di forza, l’interpretazione della Decker, si rivela un’arma a doppio taglio, risultando alla lunga persino stucchevole.

Considerata la finora trascurabile risonanza del gothic/folk di matrice sinfonica nel Nuovo Continente, è ragionevole pensare che i Mena Brinno tentino con ‘Wicked Polly’ di ergersi in qualche modo ad alfieri del genere innanzi all’audience americana. Se l’impresa pare già ardua nelle premesse, del tutto proibitiva diventa la prospettiva di un rilancio europeo. Il pubblico al di qua dell’oceano può infatti attingere a una tradizione ben più ricca e varia, che piuttosto abbisogna di novità, non già di epigoni. Senza contare che, anche restando sul nuovo continente, decisamente più credibili appaiono gruppi come i Todensbonden (originari della Virginia), che non diventeranno forse i nuovi leader della scena, ma che nel loro brillante esordio ‘Sleep Now, Quiet Forest’ hanno saputo coniugare con grande personalità la tradizione gothic e quella ambient/neoclassica.

Per quanto riguarda la band di Decker e Kozlowski, dunque, la strada è ancora tutta in salita: salvo repentini cambi di rotta, l’impressione è di trovarsi di fronte a un progetto tanto ambizioso quanto trascurabile.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. Banks Of The Ohio
2. Entrapment
3. Wicked Polly
4. Secrets Of War
5. Labyrinth
6. Katie Cruel
7. Nightsounds
8. Court Me
9. Wildwood Flower

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