Recensione: Widziadła

Di Stefano Santamaria - 23 Gennaio 2017 - 0:00
Widziadła
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2016
Nazione:
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58

Fuochi scoppiettanti, storie pagane cantate da malinconici menestrelli, sono l’immagine che ci balena alla mente all’ascolto della seconda fatica in studio dei polacchi  Diaboł Boruta. Il sound proposto è un folk metal che sta a metà tra le atmosfere più festaiole di Korpiklaani, ed il pagan di  Falkenbach. Parliamo di atmosfere, sia chiaro, perché non c’è nulla di realmente viking o black, ma solo una sorta di velata cupezza.

Gli istanti più rudi del disco avvicinano il concetto di thrash, raggiungendo in taluni momenti velocità di esecuzione vagamente power in più punti. Gli elementi folklorici sono interpretati con le tastiere, e la mancanza di quelle genuinità tipica degli strumenti tradizionali manca inevitabilmente.

Il disco avanza confermando stereotipi del filone, non aggiungendo niente di particolarmente personale, ma risultando comunque genuino. Le strutture dei brani sfociano via via nei punti in cui immaginavamo il trend ci portasse. Non è una colpa, ma nemmeno un merito, poichè vero che il full-length risulta così coinvolgente, ma la prevedibilità regna sovrana, lasciando i più avvezzi a questi suoni, senza alcun stimolo.

La nota di merito la possiamo dare per il comparto vocale, capace di essere più fantasioso rispetto a tutto ciò che lo circonda. Ciò che manca però è la potenza, perché la vocalità non riesce mai a toccare i picchi che ci piacerebbe perlomeno intravedere. “Widziadła” non rientrerà tra le pietre miliari del genere, non è una stella che riesce a brillare di luce propria ed a parte qualche ritornello ed accelerazioni colorate, resta scialba e spenta in quasi la totalità del lavoro.

Auspichiamo che i nostri sappiano con il tempo  trovare la propria strada, maturando dal punto di vista attitudinale e dando quella verve necessaria a far spiccare loro il volo. Non pretendiamo sconvolgano il folk metal, ma perlomeno che facciano sentire il calore dei fuochi che condividiamo con loro nel mezzo della fredda foresta. Passione che ad esempio percepiamo ardente dalle band sopra citate, o da altre realtà che, seppur  fedeli al verbo del filone, riescono a lasciare quel marchio o quello stile che li contraddistingue.

I Diaboł Boruta, invece, restano nell’anonimato, timide ombre che solo il tempo saprà forse svelarci pienamente.

Stefano “Thiess” Santamaria

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