Recensione: Winter

Di Andrea Poletti - 9 Aprile 2016 - 0:15
Winter
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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77

Progressivo agg. [der. del lat. progressus, part. pass. di progrĕdi «andare avanti»]. – 

– Che progredisce o tende a progredire, cioè a procedere, ad aumentare (o anche a decrescere) in modo continuo e più o meno regolare: numerazione p.; disporsi in fila per ordine p. d’altezza; moto p.; imprimere una p. accelerazione; aumento p., diminuzione p.; un p. crescendo di forza, d’intensità. Senza idea di aumento o di sviluppo, ma solo di spostamento in avanti, assimilazione p., in fonologia, il tipo di assimilazione nel quale l’elemento assimilante precede quello assimilato (v. anche assimilazione). ◆ Avv. progressivaménte, in ordine o in modo progressivo.

Vocabolario Treccani

Pensare alla carriera degli Ocean of Slumber una delle parole che rintocca di più in mente è “progresso”; un parola che noi del settore comunemente affibbiamo ad un genere che negli ultimi anni fortunatamente sta recuperando terreno attraverso nuove leve. Progredire è un monito costante che ogni essere umano dovrebbe imporre alla sua mente, al suo corpo e alla sua creatività; non è capacità per tutti ovviamente, ma se almeno non ci cerca di allontanrsi dall’andare oltre quei confini mentali e psicologici che ci incatenano alle nostre radici, tutto evita di diventare prevedibile, vano e senza mordete. Questa illuminata creatura ha deciso di riproporsi sul mercato con un album che definire spiazzante e sopra le righe risulta riduttivo e svilente, Winter non è considerabile come la progressione prettamente musicale della band, ma piuttosto degli esseri umani che stanno dietro a questo immenso progetto. Potrei ipoteticamente chiudere questo scritto con la frase: “Gli Ocean of Slumber hanno surclassato sé stessi, andando oltre ogni aspettativa, oltre quel muro che separa i mediocri dai fuoriclasse, forgiando quello che per molti sarà visto come troppo pretenzioso a dispetti degli occhi di altri per cui sarà gemma da custodire.”

Aggiungere, cambiare un membro del gruppo è routine quotiana nel mondo moderno, ogni nuovo elemento viene inserito al fine di portare freschezza e maggiore dinamicità al nucleo compositivo, così almeno dovrebbe essere. Usciti l’anno scorso dopo anni di silenzio con l’EP Blue, i nostri avevano già dato un chiaro segnale di quella che successivamente sarebbe stata la strada intrapresa nel prossimo futuro; certamente un album è tutt’altra storia e oggi siamo a testimoniare quanto a volte, la lunghezza fa la differenza. L’elemento cardine che ha fatto si che i nostri potessero viaggiare oggi con il vento in poppa è umano, ha forme femminile e delicatamente sublime con una voce d’angelo. Cammie Gilbert è una ragazza che proviene dall’habitat del Blues, la sua impronta è blues, la sua anima è blues e sentirla entrare in mondo distante come questo è affascinante quanto ammaliante. Canzoni cardine dell’album quali la Titletrack, Nights With Satin (cover dei Moody Blues), Suffer the Last Bride o Turpentine dimostrano quanta magia risieda dentro le note create dagli Ocean of Slumber; un connubio perfetto tra avanguardismo, metal e tutto ciò che il bello del mondo può offrire a prescindere dal genere suonato o amato. L’Hard & Heavy che si mescola alla perfezione con un cantato Blues dove il leggero growl di Contreras e Gary si interseca alla perfezione con la nuova realtà del band. Non vi si trova solamente lento e decadente cantato combinato con la progressione pura, la “violenza” riservata in certi momenti mette in luce la bravura della band di passare da un genere all’altro, mondi distanti che si intervallano alla perfezione per creare il prossimo futuro. Devout e Apologue sono due brani che nella loro complessità riescono a ricordarci come non si vive di sola atmosfera e amari ricordi; growl e doppio pedale fanno una ottima presenza entro cui lo spettro compositivo dei nostri vagheggia e decolla sino all’infinito, senza un paracadute ci troviamo catapultati dentro un turbinio di visioni e sentori. La velocità di alcuni passaggi combinati con quelle venature doom sono la sintesi di tutto ciò che il metal moderno offre sul mercato: ascoltare da 2:15 a 4:47 di Apologue come conferma definitiva. Un album che è formato da tredici canzoni non può non avere i momenti più riflessi, che paradossalmente arrivano subito prima o dopo del contrasto con i pezzi più “offensivi” del combo Texano; Lullaby, How Tall are the Trees e la finale Grace sono piccoli spunti per cadere in un vortice di emozioni, lungo una spirale che si incanala verso l’infinito per tramutare in pioggia che non si asciuga. Delle splendide retrospezioni che non fan male, cercano timorose silenziosamente di riempire il vuoto che ti accompagna solcando i mari dell’introspezione con il sole alle spalle e la via verso la salvezza dritta in prua. I The Gathering di un tempo che si insidiano dentro le musiche classiche ai Porcupine Tree mentre il vento soffia leggero, effimeri chiaroscuri che si intervallano tra il dire e divenire, il fare e creare, il pensare, dimenticare. 

Gli Ocean of Slumber non sono una band qualsiasi, non sono artefici di un’album qualsiasi e nemmeno una realtà compositiva qualsiasi. Sono ciò che il progressive ha bisogno in questi ultimi anni e che ha sempre ricercato senza mai raggiungere pienamente. Non è un album perfetto, i difetti li ha (lunghezza e difficoltà di assimilazione con la componente iper-introspettiva acettuata) ma ha un grandissimo pregio e lo proclama senza aver paura di mostrarsi in pubblico. Il vocabolario Treccani ci insegna che arriviamo a comprendere come progresso può anche anche essere inteso come l’aumento dell’intensità, della forza e in questo Winter è la perfetta sintesi di ogni concetto astratto; una incommensurabile forza trascinatrice che trasmette energia avvalendosi degli opposti. Niente di più che progresso.

“Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”

Terza legge della dinamica di Isaac Newton.

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