Recensione: Winter Ethereal

Di Stefano Usardi - 27 Giugno 2019 - 2:00
Winter Ethereal
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2019
Nazione:
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85

Sono passati ben otto anni dal precedente lavoro targato Arch/Matheos, quel Sympathetic Resonance che aveva fatto gridare al miracolo più di un cultore di un certo tipo di musica (e per certi versi non a torto, a detta di chi scrive), ma visto il risultato ottenuto da “Winter Ethereal” non posso far altro che inchinarmi e riconoscere che la lunga attesa è stata premiata. Oggi, infatti, la coppia d’oro – circondata da una nutrita schiera di collaboratori di livello assoluto, basti guardare la scheda dell’album in alto – si permette il lusso di creare di nuovo qualcosa di sopraffino, plasmando e ritorcendo il metallo progressivo fino a formare nove sinfonie complesse ma al tempo stesso facilmente assimilabili, miscelando una perizia tecnica sfavillante con una componente emotiva che raggiunge un livello di coinvolgimento elevatissimo. “Winter Ethereal” riesce, in poco più di un’ora di durata, ad avvolgere l’ascoltatore in un vero e proprio vortice sonoro cangiante e sfaccettato, un continuo andirivieni emozionale fatto di classe sopraffina, un tiro azzeccatissimo e la voce imperiosa di John Arch a condire il tutto. La base ritmica mantiene l’attenzione piuttosto alta grazie a un lavoro alla batteria variegato e preciso, che si diverte a modificare tono e umore delle composizioni quanto basta per creare fondamenta sonore solidissime e al tempo stesso affascinanti, ottimamente puntellate dal continuo gioco di luci e ombre dato da un basso mai invadente ma sempre partecipe. A questo punto si aggiungono le chitarre, lasciate apparentemente libere di fare il bello e il cattivo tempo ma, in realtà, precise e puntuali nelle loro trame, sempre funzionali alle necessità della canzone: su una matrice ormai collaudata che mescola l’heavy classico con il progressive, i nostri macinano riff aggressivi e corpacciuti intervallandoli a scudisciate beffarde, arpeggi malinconici, rallentamenti dal retrogusto ipnotico, contemplativo, fraseggi incalzanti e aperture dalla maestosità ariosa. A coronare questa architettura sonora complessa e sfaccettata ma, lo ripeto, tutt’altro che indigesta sopraggiunge la voce squillante di Arch, che coi suoi toni alti si mette a disposizione dell’amalgama strumentale per donare il giusto guscio emotivo alle tracce, creando così un unicum decisamente affascinante. Echi del rock progressive degli anni ’60 e ’70 fanno capolino di tanto in tanto, riverberati però da una sensibilità molto contemporanea che spegne sul nascere qualsiasi insinuazione di derive nostalgiche fini a se stesse, mentre la passione che traspare dai continui saliscendi strumentali dona profondità ad ogni pezzo, fondendosi con le partiture tipicamente metalliche e dando così vita ad un caleidoscopico gioco di luci in costante movimento. Le tracce si avvolgono su se stesse, contorcendosi in una danza ipnotica fatta di tempi sfaccettati, riff cangianti e melodie che, senza soluzione di continuità, si fanno di volta in volta trionfali, solenni e minacciose. Le abilità nella scrittura donano una struttura policroma e articolata ad ogni canzone di “Winter Ethereal” ma, al tempo stesso, impediscono loro di scadere nella vuota – e aggiungerei fin troppo facile, visti i nomi coinvolti – esibizione di sterili tecnicismi, per garantire invece un’ora di intrattenimento succoso ed elegante: il tappeto sonico è ricco, quasi sfolgorante nella sua minuziosa immediatezza, in perpetua evoluzione e cionondimeno anche estremamente digeribile.
Nonostante tutte le tracce di “Winter Ethereal” si assestino su un livello qualitativo decisamente superiore alla media e meritino di essere godute nella loro totalità, mi permetto, in chiusura di recensione, di fare una menzione speciale per l’arcigna opener “Vermilion Moons”, capace di improvvise variazioni umorali, “Solitary Man”, dall’andamento sinuoso e sornione in cui, tra l’altro, si risentono sprazzi dei vecchi Fates Warning, e soprattutto per la vorticosa “Kindred Spirits”, traccia conclusiva che con i suoi continui cambi atmosferici pone il giusto sigillo a un album di valore indiscutibile, capace di ammaliare fin dal primo ascolto ma, al tempo stesso, ricco di piccoli e splendenti tesori che si rivelano solo dopo ascolti più attenti.
Un gioiello, punto.

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