Recensione: Winterwaker

Di Giuseppe Casafina - 7 Dicembre 2016 - 10:00
Winterwaker
Band: Tarnkappe
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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72

Ed ecco che “Winterwaker”, nuovo disco dei Tarnkappe, giunge finalmente a noi.

La Hammerheart sembra credere molto in questo progetto proveniente dai Paesi Bassi: l’ensemble è stato descritto, sin dal primo giorno di annuncio della release, come un acquisto essenziale per tutti i fan del black metal scandinavo di prima maniera e citando formazioni come Arckanum, Darkthrone e Burzum in particolare.

La cosa impressionante, in effetti, è che la formazione ad un primo ascolto neanche troppo approfondito assomiglia davvero molto al primo nome citato, vale a dire gli Arckanum: ora per struttura dei brani (forse meno complessi quelli dei Tarnkappe in effetti), ora per la voce del singer che è davvero molto, ma molto simile a quella di Shamaatae, e questa ultima caratteristica in particolare è una cosa che mi è saltata immediatamente all’orecchio, ancor prima di leggere la bio rilasciata assieme alla copia promozionale da parte dell’etichetta.

La copertina, volutamente retrò ed essenziale, è una cosa fortemente voluta e lo stile musicale si riabbraccia appunto a questa scelta di seguire binari fortemente tradizionali, essenziali ma mai eccessivamente scarni: la produzione però, sebbene fredda e perefettamente adatta allo scopo (le basse e le medie sono ben presenti ed equilibrate su tutto il mix, al contrario di tanti altri ensemble che puntando troppo sulla freddezza si dimenticano che nello spettro delle frequenze esistono anche quelle più basse, ricordo a tal punto “Deep Dark Seasons” dei finlandesi Pestiferous, talmente eccessivo in tal senso da risultare ridicolmente noioso) è un punto a favore di questo album.

“Winterwaker” infatti, suona bene pur senza eccedere nel zanzaroso, oppure senza enfatizzare troppo le frequenze alte come tradizione moderna ormai impone, allo scopo di rendere il suono più brillante: il risultato, in questo caso, risuona talmente equilibrato da aumentare di efficacia le singole composizioni, invero non esattamente originali…ma in fondo i Tarnkappe non sembrano in tal senso interessati a proporre qualcosa di diverso, persi come sono nella prima metà degli anni ’90, quando suonare black metal aveva un fascino primordiale e selvaggio, e forse allo stesso tempo anche violentemente romantico dato lo spirito passionale che animava le prime realtà dedite a suddetto genere. A livello di songwriting, nonostante una forse troppo ferrea e decisa volontà di rimanere ancorati a determinati suoni ed atmosfere, siamo su buoni livelli: ogni pezzo ha le sue piccole particolarità in grado di differenziarlo dalla massa, con il risultato di 8 pezzi a loro modo ben congegnati, certamente non personalissimi in tutto e per tutto ma sentiti. Sottolineamolo, sentiti. Ogni nota di “Winterwaker” infatti, aldilà dei gusti personali suona col cuore, e si sente, perchè si tratta di una release curata fin nei minimi dettagli, creata da appassionati per appassionati, da seguaci per altri seguaci. I riff sono freddi sia a livello di musicalità (davvero splendide alcune delle melodie create dai Nostri) che di atmosfere disegnate dagli stessi, il feeling epico del black metal prima maniera qui regna sovrano (e davvero non capisco il perchè da parte della label del tirare in mezzo i Darkthrone che a livello di atmosfere sono francamente molto diversi ed assai più scarni anche come riffing) e le vocals in olandese conferiscono ai brani un feeling marziale ed ancor più gelido.

Una release insomma globalmente convincente, sognante e ricolma di passione, che pecca solo nella monotonia di alcuni passaggi (al parte centrale di ‘Kale Vlakten, Desolatie’ è effettivamente tirata un po’ troppo per le lunghe, stessa cosa dicasi per la conclusiva ‘Hogere Machten’) ma che per tutto il resto non si smuove dalle coordinate iniziali: semplice e diretto black metal esattamente come si faceva una volta e, per una volta tanto, efficace ed ispirato.

Anche solo questo vale la candela per i tanti appassionati di queste sonorità. Una candela rigorosamente ritualistica, atta a descrivere i lati negativi della vita, contrastando con la bellezza maestosa dei paesaggi che le aree più solitarie del nostro pianeta sono in grado di elargire, fornendo ispirazione quasi infinita ai suoi adoratori. Di certo non la release dell’anno, ma d’altro canto non è nemmeno ambizione propria del platter quello di esser etichettato come tale: un disco che per i tanti appassionati rivelerà un valore di molto superiore al voto che trovate qui in basso e sufficientemente ben prodotto da attrarre a se anche qualche detrattore delle attuali uscite improntate al black metal più tradizionale. Più che un disco per pochi, “Winterwaker” si rivela essere ‘un disco per qualcuno in più del solito’ (passatemi il termine…).

Detto in due parole: splendidamente onesto.

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