Recensione: Wolfshade

Di Orso Comellini - 24 Aprile 2012 - 0:00
Wolfshade
Band: Wolfshade
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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66

Progetto che ruota attorno alla figura del cantante/tastierista Eugenio Apparuti, i Wolfshade sono una band proveniente dai dintorni di Modena, autrice di un classico hard & heavy devoto in primis alla scena inglese. La prima incarnazione del gruppo (Blood And Wine) risale al 2005, ma quell’esperienza finirà per durare non più di un lustro per problemi di coesione interna. Invece che perdersi d’animo, però, Apparuti trova in poco tempo nuovi compagni d’avventura con cui ripartire quasi da zero, dopo aver adottato il monicker attuale. Quasi, perché parte del materiale scritto durante quel periodo, mai pubblicato ufficialmente, viene ripreso, riarrangiato e registrato nello studio “Slide” di Vignola (MO) dalla nuova formazione.

Il quintetto emiliano rientra formalmente nel filone heavy metal, presentando tutti gli aspetti caratteristici del genere, ma nella loro musica un ruolo altrettanto importante lo gioca senza dubbio la componente hard rock. Anzi, si potrebbe dire che spesso proprio su quest’ultimo terreno riescano a far emergere le loro qualità migliori. Ad ogni modo gli Iron Maiden di “No Prayer For The Dying” o il secondo lato di “Fear Of The Dark” sono probabilmente gli esempi migliori per rendere l’idea del sound dei Wolfshade: quell’heavy un po’ più controllato, a volte quasi inoffensivo, ma sempre molto curato e articolato. Distante dai forsennati fraseggi all’unisono e i soli vorticosi della coppia Smith/Murray o dallo sferzante drumming di Burr o McBrain sui primi lavori, affine invece ai ritmi più blandi imposti al tempo da Harris e a certi riff hard che l’ex White Spirit, Janick Gers, si era portato in dote al suo ingresso. A conferire poi al disco una ventata quasi settantiana, oltre al lavoro delle due asce Fortini e Pardo, ci pensa soprattutto Apparuti, il quale dimostra una buona versatilità e varietà di suoni alla tastiera, nonché di saper dialogare all’occorrenza con le chitarre, senza mai rendere la sua presenza invadente.

Non del tutto convincente invece la sua prova canora: pur possedendo un timbro piuttosto particolare, che può lontanamente ricordare quello di James Wynne (Broken Glazz), certe linee vocali finiscono per avere poco mordente e, come nel caso di “Nighthawk”, a risultare un po’ scontate. Ad ogni modo, non commettendo particolari sbavature, la prestazione è complessivamente più che sufficiente.

Discorso simile anche per la sezione ritmica formata da Fornasari al basso e Nefed alla batteria. I due, infatti, sono molto puntuali e precisi, ma si ha la sensazione che non sempre si lascino andare e che si limitino ad accompagnare gli altri strumenti, specie in alcuni cambi di ritmo. Ciò non deve suonare come una bocciatura, le qualità per fare bene ci sono tutte, però l’impressione è che talvolta avrebbero potuto osare quel pizzico in più, proprio perché si sente che non sono degli sprovveduti.

Infine, decisamente positivo il contributo delle chitarre: a dispetto di qualche sporadico fraseggio ritmico, per così dire, scolastico, in fase solista sembra proprio che i due ci sappiano fare e che praticamente ogni volta che partono i loro soli facciano letteralmente decollare il brano. Basta sentire l’opener “Zero Day” per rendersene conto (ma ce ne sarebbero anche di migliori da menzionare): quelle poche note ispirate e in un certo senso solenni dell’assolo, risollevano le quotazioni di una traccia che altrimenti sarebbe forse poco incisiva.

Per il resto, tra i vari brani spiccano in particolar modo l’hard rock orientaleggiante di “Minister Of Death”, sulla falsariga dei vari progetti di Ritchie Blackmore, la trascinante e rockeggiante “Screaming Vampires” (sarebbe interessante testarne l’efficacia dal vivo), nella quale la sezione ritmica riesce finalmente ad esprimere al meglio il proprio potenziale e la conclusiva “Lord Of Lightning”, lungo brano evocativo con delle sezioni strumentali ‘maideniane’ coinvolgenti.

Il debutto de “L’Ombra Del Lupo” quindi è un buon lavoro e qualche piccola ingenuità da rivedere non compromette di certo il risultato finale, anche perché gli episodi più riusciti danno già l’idea di una band matura e promettente. Qualche lieve correzione stilistica e un contratto siglato in tasca potrebbero portarli alla ribalta.

Orso “Orso80” Comellini

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Tracce:
1. Zero Day 5:49
2. Shade Of Wolf 4:24
3. Next World 5:53
4. Nighthawk 7:03
5. Minister Of Death 6:07
6. Northern Shore 5:55
7. Screaming Vampires 4:48
8. Lord Of Lightning 7:30

Durata 47 min. ca.

Formazione:
Eugenio Apparuti – Voce, Tastiera
Luke Fortini – Chitarra
Emilio Pardo – Chitarra
Fabrizio Fornasari – Basso
Ràmoonir Nefed – Batteria

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