Recensione: Woodland Prattlers

Di Mauro Gelsomini - 21 Dicembre 2004 - 0:00
Woodland Prattlers
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
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80

Si autoetichetta “progressive orchestral metal” il genere proposto da questo trio moscovita, che nasce dalla scena avant-garde sperimentale russa nel 2002. Con un biglietto da visita simile è lecito attendersi grandi cose da questo act, ben spinto in fase di promozione da un’etichetta – la Aural Music – che ne ha esaltato le caratteristiche e alimentato le aspettative. D’altro canto, però, la proposta dei nostri può dare adito a diverse interpretazioni, risultando questa moda di inventarsi il genere, almeno per chi scrive, decisamente opinabile.

In effetti i Mechanical Poet mostrano influenze d’ogni sorta, e si legano soprattutto a certe sonorità power/gothic di stampo europeo (a qualcuno potranno venire alla mente gli Evergrey), ma anche ai cambi d’atmosfera tipici del rock progressivo, nonché ad inevitabili richiami alla tradizione folk dell’Europa dell’Est. Il tutto è condito con una serie impressionante di arrangiamenti elettronici e orchestrazioni, e inserito in una cornice filmica che accosta il lavoro piuttosto a una colonna sonora che a un concept album.

Il taglio che questa colonna sonora assume è di tipo fumettisco: sia moltissime delle atmosfere che pervadono le composizioni, sia le liriche (si guardino a tal proposito i titoli delle song), sia l’artwork, rimandano allo stile del “Nightmare Before Christmas” di Tim Burton, capolavoro del dark-musical continuamente richiamato anche a livello di arrangiamenti. Come se non bastasse, il gustoso fumetto incluso nel ricco booklet fuga i dubbi rimanenti. L’affresco grottesco, a tratti fantasy, di quella che potremmo chiamare la “Notredame de Paris” del Metal – dal momento che, ad ogni modo, di Metal si tratta – è sostenuto da tre musicisti di esperienza, tecnicamente preparatissimi, e scaltri dal punto di vista promozionale, non sarà certo un caso che un “pacchetto” di questo tipo esca sul mercato proprio a ridosso del Natale, e la predilezione attualissima per i personaggi dispettosi associati alla festività (“Il Grinch”, “Babbo Bastardo”, tanto per citare le ultimissime uscite) rende giustizia all’accostamento Natale/Metal che mi sono permesso di sottolineare. E’ altresì giusto non fermarsi alla malizia con cui sono solito confrontarmi con il music business, anche perché il lavoro dei Mechanical Poet è molto poco attaccabile dal punto di vista musicale: ruffianeria, impatto, un grande gusto per gli arrangiamenti e, soprattutto, la versatilità del singer – Max Samosvat – sono i punti di forza delle composizioni di “Woodland Prattlers”. Una band del genere, che unisce la sua componente (metal) progressive derivata direttamente dai Pain Of Salvation alla sua spiccata matrice “brodwayana” cattura di sicuro la mia attenzione, anche se, devo dirlo, il lato melodico non è trattato come si dovrebbe, dopo uno “studio” a tavolino: la cura per le armonizzazioni e i cori non manca, il cantato è sempre ispiratissimo e di elevata portata tecnica, ma, ahime, la scintilla vincente, ovvero l’ ariosità di melodie realmente travolgenti, quelle che catturano al primo ascolto, sono solo abbozzate in qualche ritornello (“Bogie in a Coal Hole”), e la mancanza è troppo grave per un prodotto “costruito”. Resta però una serie di tante ottime tracce, che a tratti diventano eccellenti, che mi spingono di consigliare a tutti di porgere orecchio a quella che non sarà certo una macchina da soldi, ma che potrebbe diventare l’uscita dell’anno per più di qualcuno di voi.

Tracklist:

  1. Main Titles
  2. Stormchild
  3. Bogie In A Coal-Hole
  4. Sirens From The Underland
  5. Will O’ The Wisp
  6. Strayed Moppet
  7. Old Year’s Merry Funeral
  8. Natural Quaternion
  9. Shades On A Casement
  10. Swamp-Stamp-Polka
  11. End Credits

P.S.: E’ disponibile anche una versione limitata a 1000 esemplari, che include il primo EP autoprodotto dalla band nel 2003, “Handmade Essence”, meno smaliziatamente sinfonico e progressivo dell’album e maggiormente influenzato dall’hard rock anni ’80.

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