Recensione: Words Collide

Di Filippo Benedetto - 25 Febbraio 2004 - 0:00
Words Collide
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Anno: 2003
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77

Nota: la difficile catalogazione del disco in quanto a genere mi ha portato a catalogarlo come Heavy Metal, per quanto questo lavoro segua song dopo song una vasta eterogeneità di stili e generi musicali.

Inizio subito con l’affermare che “Words Collide” è un disco decisamente complesso, nel quale è possibile riconoscere in Michael Harris (suonando quasi tutti gli strumenti eccezion fatta per la batteria, suonata dal fratello Brian) una certa versatilità nel tessere un filo logico (ma originale) tra stili musicali diversi fra loro. Il disco è un concentrato, quindi, di heavy metal, hard rock, spunti fusion, un po’ di prog-metal e persino un certo “esoticismo”. Letti uno in fila all’altro così come li ho scritti, soprattutto senza avere idea del disco in questione, sembrerebbe una specie di “minestrone” mal assortito musicalmente. Invece questo “Words Collide” stupisce, lasciandosi apprezzare proprio per questo ricco calderone di idee. Confesso che io stesso, inzialmente, ero rimasto perplesso ad un primo ascolto del disco ma dopo un paio di ascolti ho cominciato ad entrare nello spirito del disco fino ad apprezzarlo nella sua generalità. Cominciando dall’analisi della copertina si coglie una decisa volontà dell’artista di essere essenziale e diretto nel messaggio, come a dire “io sono un virtuoso della chitarra, ma dietro questo virtuosismo ci sono contenuti”. Di “contenuti” ce ne stanno tanti, sparsi lungo ogni song tracciando sottilissimi confini tra i generi di cui avevo dato menzione sopra.
Infatti, partendo dalla piece introduttiva, si nota subito di che pasta è fatto Michael Harris il quale si prodiga nell’esecuzione (senza l’ausilio di tastiere, come si legge nel booklet stesso) di un tema classicheggiante decisamente successivo. Subito dopo irrompe una chitarra distorta che, con l’ausio di wah-wah, accenna quello che sarà poi il riff portante del bel refrain (dai tratti cupi ma coinvolgenti). Il pezzo, intitolato “Wash My Soul Away” si distingue per le ritmiche non di facile assimilazione, merito del preciso drumming del fratello di Michael che pare trovarsi a suo agio nel tessere trame ritmiche per nulla scontate.  In più, viene messo in piedi un buon gioco d’alternanza tra parti più heavy e momenti più rilassati (dove primeggia un bell’arpeggio semi acustico). La successiva Mask of deception”, mostra nuovamente la chitarra di Harris amalgamarsi bene a ritmiche ancora “poco convenzionali”, anche se il riffing è un po’ meno diretto e aggressivo. Il risultato è un lavoro corposo nel quale si nota un eco progressivo nelle ritmiche più evidente e meglio approfondito. “Myopia”, quarta song del platter, si snoda lungo un riffing acustico quasi “spagnoleggiante” e molto caldo. Si apprezza la prestazione vocale di Harris che sfoggia vocals calde e pulite. La seguente “Words Collide”, title track del disco, è secondo il sottoscritto uno dei momenti più belli del platter. La song è complessa, alternandosi tra momenti più heavy e momenti più rilassati fino all’irrompere del refrain davvero molto convincente. Qui Harris si prodiga nel migliore dei modi sia in veste di tessitore di ritmiche coinvolgenti e mai scontate (sconfinando in un inaspettato, ma piacevole, stacco quasi “fusion”) nelle quali riffs rocciosi e cupi alternati ad aperture melodicamente più accessibili si amalgamano in maniera convincente. Anche qui la voce di Harris è calda e  ben impostata. Un riff acustico ci introduce alla seguente “Tears Roll Down” dove si assiste ad un’altra sterzata stilistica, dove è la vena melodica del chitarrista ad imporsi piacevolmente all’ascoltatore. Il brano è ulteriormente abbellito da incursioni armoniche per chitarra elettrica che donano fludidità al brano. Salvo brevi irrigidimenti della struttura del pezzo, la song si mantiene lungo questa direzione morbida e accattivante. Con “Mr Strange” sono ancora le chitarre acustiche a primeggiare e le vocals sono ispirate e discretamente impostate. Harris interviene, poi, con opportuni interventi barocchi con la chitarra elettrica. Ben costruito è il motivo principale della track che si sviluppa lungo suggestive linee melodiche. 
“Prosthetic Brain” irrompe in modo insolito e spiazzante, mostrando in tutta evidenza la voglia di Harris di sperimentare una vasta gamma di sonorità e stili musicali. In effetti la struttura del pezzo risente di influenze fusion e, perché no, una certa attitudine progheggiante, lasciata trasparire con discrezione.   

“Into the Spiral Rain” è un altro momento importante del disco, nel quale si può notare la versatilità del musicista in sede di songwriting. Il pezzo ha un incedere nella prima parte tendente al funky che poi viene intercalato a momenti più “rocciosi”. Il risultato è un amalgama ben calibrato nel quale spiccano un gusto per gli arrangiamenti di buon livello. 
Con “Mandy Slang” il chitarrista si prende il lusso di mettere in piedi un brano scherzoso e leggero, dove non manca comunque di deliziare l’ascoltatore.
“Incarcerated” irrompe decisa con un riff potente e diretto. Le vocals di Harris si fanno più graffianti e la sezione ritmica, precisa e dinamica, è trascinante. L’impostazione di base del brano è heavy si lascia godere piacevolmente. Risultano abbastanza riusciti i giochi “a due” di chitarra e basso e molto ben costruita è la parte rallentata, in cui il brano si concede un’apertura melodica di sicuro impatto.
“The Cozmic Desert” mette di nuovo in primo piano un riffing acustico vagamente orientaleggiante. L’incedere della song è piuttosto cadenzato, cercando quasi di seguire i passi stanchi di una camminata in un “deserto cosmico”. La chitarra solista, inoltre, interviene con incursioni armoniche donando al brano ulteriore godibilità.  
La penultima “Battle Fatigue” è la song più ambiziosa del disco, dipanandosi lungo ben 8 parti per la durata totale di poco più di 9 minuti. La song è cupa, maestosa e ha come filo conduttore un riffing articolato: prima classicamente heavy, poi più morbido e classicheggiante, poi di nuovo duro e quasi impenetrabile.
Chiude il disco la bonus track “Coffee with Mozart”, discreto omaggio al compositore austriaco.
Concludendo questo “Words Collide” è un disco molto buono, nel quale si può notare da parte di Michael Harris la voglia non solo di mettere in mostra le proprie doti tecniche ma anche una maturità compositiva che, ad ascolto compiuto, risulta decisamente apprezzabile. Discorso a parte si potrebbe fare per la produzione del disco che, se a prima vista può sembrare non eccelsa, aguzzando l’orecchio e tenendo in conto l’eterogeneità degli stili musicali qui affrontati, risulterà un dettaglio trascurabile rispetto alla qualità musicale del prodotto. 
    
Tracklist:

1.Shockestra 
2.Wash My Soul Away  
3.Mask Of Deception  
4.Myopia  [04:14]   
5.Words Collide  
6.Tears Roll Down  
7.Mr. Strange  
8.Prosthetic Brain 
9.Into The Spiral Rain  
10.Mandy Slang  
11.Incarcerated 
12.The Cozmic Desert  
13.Battle Fatigue  
14.Coffee With Mozart (bonus tracks)

All instruments are played by Michael Harris except for
Drums: Brian Harris  

 

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