Recensione: XXX – Three Decades in Metal

Di Simone Volponi - 18 Ottobre 2016 - 0:00
XXX – Three Decades in Metal
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2016
Nazione:
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Tre decadi di carriera per Kai Hansen, trent’anni da festeggiare non soltanto per lui ma per tutta la scena power metal per la quale il cantante-chitarrista-compositore tedesco ha rappresentato e rappresenta ancora tantissimo. I punti cardine della sua storia parlano chiaro. Prima fondatore degli Helloween con i quali eresse le mura di Jericho per poi lasciare il microfono a un certo Michael Kiske, il tempo di comporre e suonare una coppia di capolavori e pietre miliari del genere, ovvero i due “Keeper Of The Seven Keys”. Poi fondatore della sua band, i Gamma Ray, e altri due capolavori messi nella storia: il debutto “Heading For Tomorrow”, che lanciò la carriera di Ralph Scheepers, e “Land Of The Free” cantato da lui stesso. La storia portata avanti a palate di power metal, non sempre all’altezza del lustro acquisito, ma abbastanza per restare un punto di riferimento costante, fino a piazzare un altro colpo non da poco, quegli Unisonic che hanno avuto il pregio di ricondurre ufficialmente all’ovile del metallo il figliol prodigo Kiske, che se ne era distaccato in maniera confusa vista la sua assidua partecipazione a progetti altrui, Avantasia in testa.

XXX – Three Decades In Metal” è presentato come il primo disco solista di Kai Hansen, ma ci ridiamo sopra ben consci che i Gamma Ray sono da sempre la Kai Hansen Band. I dischi partoriti negli ultimi anni (da fin troppo direi) sono poco più che un lavoro di mestiere, composti da chi la sa lunga ed è stato baciato dal talento, ma privi della scintilla giusta, quella dei tempi migliori. Fisiologico quando comunque dei pilastri li si è forgiati e si può guardare indietro con soddisfazione, e alla fine non è una colpa grave per cui biasimare il simpatico crucco. Zio Hansen ha messo in piedi una band su misura per le registrazioni di questo “XXX”, con Eike Freese (tecnico dei Gamma Ray) alla chitarra, Daniel Wilding dei Carcass alla batteria e Alex Dietz (Heaven Shall Burn) al basso. Questi ultimi due musicisti lontani dalla tradizione metal teutonica, segno di voler proporre un suono rude, anche cupo in più passaggi, niente a che vedere con il cosiddetto happy metal che fu. Le dieci tracce che scorrono nel disco raccontano in sintesi le gesta dello zio Hansen, dalla nascita, alle beghe contrattuali, ai palchi calcati in giro per il mondo, una sorta di biografia musicata senza pretese di grandezza narrativa.

L’apertura con il singolo “Born Free” è semplice semplice: classico riffone alla tedesca, un acuto acido iniziale e pezzo diretto, scritto appositamente per essere suonato dal vivo e scatenare la folla con headbanging, pugni al cielo e il coro sul ritornello “Born Free” urlato tutti insieme. Nulla di eclatante, mestiere a gogo, ma come opener non risulta affatto male.
Enemies of Fun” presenta i prim invitati Piet Sielck (Iron Savior, nelle cui fila della prima ora Kai Hansen ha militato) e il vecchio sodale Ralph Scheepers, a scambiarsi le strofe con Kai in una traccia cadenzata e robusta, che nel mezzo accelera per preparare il terreno a un ottimo assolo. Il minutaggio risulta però eccessivo nel perpetuare il refrain, un taglietto avrebbe reso meglio il tutto.
Contract Song” porta segnato in calce il nome di Dee Snider, ma il biondo crinito leader dei Twisted Sisters sembra solo passato a prendersi una birra e a dare una pacca sulle spalle del festeggiato. Mi aspettavo una presenza più significativa, memore di quanto fatto dalle parti di Tobias Sammet e i suoi Avantasia, e invece sono rimasto deluso. Il pezzo di per sé non è affatto male, c’è un che di Maiden nel break centrale, ma anche qui il tutto appare un po’ diluito sacrificando l’immediatezza.
Proprio Mr Sammet divide il microfono con Hansen nella successiva “Making Headlines”, song bruttina per quanto la voce di Tobias sia sempre un valore aggiunto, ma tralascerei. Anche perché di meglio lo troviamo con “Stranger In Time” dove il duetto Hansen-Kiske rappresenta il piatto succulento che ogni appassionato aspettava al varco di questo “XXX”, e le aspettative non vengono deluse da una ottima cavalcata con un bel pathos nelle strofe, un sentore drammatico e l’interpretazione grintosa al punto giusto, dove anche Tobias Sammet si rinfila dando manforte. Non un capolavoro degno dei bei tempi, ma di certo il punto più alto del disco, con un certo Roland Grapow alle chitarre.
Fire and Ice” si apre con un pesante riff alla Rammstein, ma poi si mostra come una buona traccia di metal moderno con la voce di Clementine Delauney, appena fuoriuscita dai Serenity, a far bella figura e soprattutto un grande assolo di Michael Weikath, che armonizza deliziosamente la sua sei corde con quella di Hansen sancendo così una bella rimpatriata. Peccato però per il passaggio extreme nel finale, con tanto di scream, davvero sgradevole e fuori luogo.
Left Behind” è un po’ vaga, con una linea di basso che ricorda più una band alternative rock, e ancora quell’inutile affondo in scream a opera di Marcus Bischoff (Heaven Shall Burn) che non serve a nulla. Se ne poteva fare a meno. Come si può fare a meno di “All Or Nothing” che si salva giusto per il melodico refrain (che meritava di essere sfruttato all’interno di un pezzo meglio strutturato) e il bell’assolo. Anche “Burning Bridges” è parecchio inutile, e con questa siamo a tre songs di fila a risultare come meri riempitivi, un po’ troppi.
Follow The Sun” posta in chiusura risolleva gli animi, vuoi perché la voce evocativa di Hansi Kursh dove la metti sta bene, vuoi perché il pezzo ha un bel tiro e lo scream di Bischoff è finalmente ben inserito nel contesto, visto che a quanto pare non si poteva fare a meno di invitarlo (o si sarà imbucato approfittando di un Hansen ormai ubriaco?), e il refrain gira bene e si fa ricordare.

Tre decadi di metal dunque. In molti sono partiti trent’anni fa, in pochi sono rimasti. Meno ancora sono quelli che hanno raggiunto la vetta come Mr Hansen, piazzando di prepotenza la propria bandiera per poi scendere di qualche gradino e mantenere comunque il passo. Questo XXX non è un gran disco, fa il paio con le uscite discrete che da tempo propongono i Gamma Ray, si ha l’impressione di un lavoro svolto in modo sbrigativo che con un po’ più di tempo passato in studio a limare i particolari avrebbe avuto sorte migliore. Un ascolto che diverte la durata di un party tra amici, il tempo di scolarsi qualche birra in allegra compagnia e spegnere le trenta candeline in una pazza jam corale, per poi svegliarsi il mattino successivo e di nuovo tutti on the road!

 

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