Recensione: Your Gods My Enemies

Di Daniele D'Adamo - 14 Ottobre 2011 - 0:00
Your Gods My Enemies
Band: Eternal Gray
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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77

L’ombra lunga del death metal non conosce confini e invade stavolta la baia di Caifa, in Israele. È grazie agli Eternal Gray che può verificarsi tale fenomeno, anche se le loro origini risalgono a ben due lustri fa. Nel 2001, appunto, il chitarrista Dory Gray decide di formare la band assieme ad alcuni connazionali e con essa indice quasi subito (2002) il full-length d’esordio, “Kindless”.
Passano gli anni, cambiano i membri della formazione ma non la determinazione di Gray. Così, giunge il momento del secondo album, “Your Gods, My Enemies”, anch’esso registrato in Svezia (Studio Underground) come il predecessore (Abyss Studios), sì da evidenziare al volo l’importanza dello swedish death metal nella forma mentis dei Nostri.

Importanza che, occorre evidenziare, è tangibile nella formazione del retroterra culturale dei musicisti e basta, poiché “Your Gods, My Enemies” è tutto fuorché un lavoro di melodic death metal. Coerentemente con lo sviluppo dei temi, incentrati sulla misantropia e sull’ateismo, l’aurea del disco è difatti attraversata da tinte assai fosche, premonitrici di una Terra avara di sentimenti e dominata da entità meccaniche, ben distanti dalle divinità classiche delle religioni umane. Tutta la struttura musicale è a supporto di questa interpretazione della realtà sia odierna, sia futura; rimandando spesso e volentieri le propaggini stilistiche del sound alle tipologie sonore inventate da Burton C. Bell & Co. e, quindi, al cyber death metal.
Chitarre segaossa dalle accordature ribassate, compressione estrema degli accordi stoppati dal palm muting, incedere automatico del riffing e del drumming, sono peculiarità che mostrano la vicinanza degli Eternal Gray alla corrente dei Threat Signal; anche se occorre rimarcare che la personalità artistica dei mediorientali scongiura il rischio di apparire come dei semplici cloni di ensemble più noti. Evitando infatti di concedere troppo spazio ai tipici inserimenti di basi elettroniche campionate o alle orchestrazioni, il combo israeliano bada maggiormente al sodo e costruisce – grazie al poderoso lavoro di Gray e Auria Sapir – un terribile muraglione di suono eretto con perizia tecnica lasciando da parte orpelli e abbellimenti, la cui consistenza definisce la grande concretezza del proprio suono.
Non bisogna tuttavia immaginare che “Your Gods, My Enemies” sia ‘solo’ un manifesto alla brutalità. Certo, l’ugola di Oren Balbus è terribilmente arida e il piglio del cantato è spiccatamente stentoreo, con che le linee vocali che ne escono non possono certo prendersi come esempio di melodiosità. Qua e là, però, spuntano dal denso plasma musicale che permea le canzoni del CD alcune armonizzazioni interessanti e accattivanti, che completano così un sound maturo e pressoché completo in tutte le sue parti.  
      
Nemmeno il tempo di mettere il dischetto nel lettore, che arriva una mazzata nello stomaco: “Lost Control”. Un’opener violentissima, straziata dai ricami dissonanti delle chitarre soliste, presentante l’immancabile rallentamento centrale che, urge evidenziare, si mantiene ben distante dalle esagerazioni iper-bariche dei breakdown più profondi. Le ‘fastidiose’ discordanze armoniche in stile Zyklon connotano anche la successiva, corrosiva “Controlled”. Dopo la tetra “In Black Prophecy”, dai pregevoli inserti arpeggiati, si può gustare, in occasione di “Desolate The Weak”, il tratto più distintivo degli Eternal Gray: riffoni lenti e ipnotici, mischiati alle furibonde accelerazioni del blast beats. Un connubio poco riuscito in altre occasioni, centrato in questo caso. La canzone mostra, inoltre, la più che discreta vena compositiva del gruppo, capace di inventare un giro di chitarra davvero interessante in occasione dello strano ritornello.
Un po’ ruffiana dei Fear Factory di “Digimortal”, “Inner Anger” si avvicina per qualche istante al thrash; variegando così la pietanza. Più orientata verso l’old school, la title-track ricompatta il sound alle origini del death richiamando magari i Dismember ma inventandosi un break assai orecchiabile il quale, alla fine, rappresenta l’unico vero rimando alla melodia classica presente nell’opera. Di nuovo, delle sottili quanto efficaci disarmonie s’insinuano malignamente nel cervello: sono quelle di “Unlabeled” e di “Blind Messiah”. “Never Waits” è forse, nel pensiero di Gray, ciò che si avvicina di più all’assenza di giovialità, giacché non sono lontane – grazie anche allo scellerato screaming di Balbus – le arcane tinte del black metal sinfonico.       

Niente di così nuovo sotto il sole, quindi, anche se “Your Gods, My Enemies” è di una consistenza tremenda. Gli Eternal Gray personificano senz’altro una delle propaggini evolutive del death moderno e di ciò bisogna dargliene atto, anche se manca quel po’ di esplosività in fase di scrittura tale da proiettarli sopra la massa.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Lost Control 3:41     
2. Controlled 3:31     
3. Black Prophecy 4:02     
4. Desolate The Weak 4:15     
5. Inner Anger 3:26     
6. Your Gods, My Enemies 5:30     
7. Unlabeled 4:29     
8. Blind Messiah 5:27     
9. Never Waits 3:21     

Durata 38 min.

Formazione:
Oren Balbus – Voce
Dory Gray – Chitarra
Auria Sapir – Chitarra
Gil Ben Ya’akov – Basso
Dror Goldstein – Batteria

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