Recensione: Öz

Di Elisa Tonini - 15 Ottobre 2016 - 13:55
Öz
Band: Yaşru
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2014
Nazione:
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84

Gli Yaşru ( pronunciati “Yash-ru”) sono una band folk/doom metal turca formatasi originariamente come one man band nel 2007, per volere di Berk Öner con il nome “Sidre”, che nel 2009 cambiò il nome del progetto in Yaşru ( che in turco antico – lingua göktürk – significa “mistero, segreto”).

Gli Yaşru sono influenzati dalla storia antica e dalle sue atmosfere oscure e nella musica usano in particolare melodie e scale musicali tipiche dell’Asia Centrale dell’antico passato (antecedente al decimo secolo). Per fare questo Berk cerca di ascoltare e ricercare musica etnica dell’Asia Centrale, loro terra d’origine. Parallelamente alla musica i testi parlano dei tempi antichi, delle epiche turche. Inoltre il testo di “Bilge Kağan’nin sözü” è in lingua göktürk ed è tratto dalle inscrizioni Orkhon, due installazioni commemorative erette dai Göktürks scritte in antico alfabeto turco agli inizi dell’ottavo secolo, che si trovano nella valle dell’Orkhon in Mongolia. Tali installazioni sono state erette in onore di Kül Tigin e Bilge Kağan. Il resto delle canzoni sono cantate in turco. Nella loro musica uniscono oltre a chitarra, basso e batteria vari strumenti folk tradizionali non specificati ma che personalmente, data la ricerca di Berk di elementi legati all’Asia Centrale, nonchè a tutto il mondo turco, sentirei di poter includere il temir komuz/shankobyz (jew’s harp) e di ipotizzare: uno strumento a corde come il kirghiso komuz o la kazaka dombra, uno strumento a fiato come i turchi ney ed il dilli kaval, ed infine uno strumento ad arco come i turchi Kemençe, Yaylı tambur ed il kazako kyl-kobyz.

Nel 2012 gli Yaşru rilasciarono via web il loro primo album intitolato “Öd Tengri Yasar”. L’album riscosse un grande successo e Berk, data la richiesta di concerti, decise di aggiungere altri membri alla band corrispondenti al nome di Mert Gezgin (alla batteria) e Batur Akçura (al basso), rendendo Yaşru di fatto una band a tutti gli effetti. Con i nuovi membri della band, Berk decise praticamente di modificare “Öd Tengri Yasar” migliorandone la qualità di registrazione, inserendo un intro diverso, un paio di pezzi nuovi e rinominandone uno: l’intro “Atalara” lascia il “testimone” a “Saymalıtaş” mentre “Sagu” e “Deku Kuy” lasciano il posto a “Gecenin Türküsü” ed a “Tunç Yürekliler”. Infine “Kül Tigin” è stato rinominato in “Bilge Kagan’nin sözü”.

“Öz”, il cui significato è “se stesso”, “individuo”, “essenza”, vede così la luce un paio di anni dopo.

“Saymalıtaş” è un intro dominato dal metallico temir komuz, dalle percussioni e da un cristallino strumento tradizionale a corda, un intro dall’aura mistica e primitiva, un passeggiare tra gli antichi lasciti di civiltà preistoriche. Saymalıtaş è l’area più grande del mondo di pitture rupestri (ne contiene più di diecimila, ciascuna delle quali è incisa), risalenti all’età del bronzo ( età stimata di 15.000 anni) e che si trova in Kirghizistan nel grande complesso montuoso del Tien Shan. Le pitture rupestri di Saymalıtaş sono testimonianze importantissime per la cultura del popolo turco. Tra l’altro, l’artwork del disco pare ritrarre una delle pitture rupestri di Saymalıtaş.

“Tunç Yürekliler” è un epico e galoppante brano puntellato dal suono metallico e misterioso del temir komuz/shankobyz (jew’s harp), dai secchi arpeggi dello srumento tradizionale, da alcuni soffi di un fiabesco flauto e dai drammatici tocchi di uno strumento ad arco. Tutto il brano è permeato da atmosfere nostalgiche ed eleganti eppure dall’animo avventuroso, quello di colui che cerca incessantemente le sue origini.

“Yol Verin Dağlarım” è una traccia maestosa, solenne, nostalgica in cui risalta l’acuto suono del flauto e scintillano i secchi arpeggi dello strumento tradizionale a corde. “Yol Verin Dağlarım” accompagna in un epico viaggio tra un sentiero senza tempo tra i paesaggi della memoria.

“Yağmur” significa “pioggia” e come essa inonda l’ascoltatore di immensa tristezza e nostalgia con il suo incedere lento percorso dai solitari passaggi di flauto , dagli assoli di chitarra, dai ruvidi tocchi dello strumento ad arco e la sofferta voce di Berk la fa da padrone come una sorta di preghiera rivolta alle divinità di antiche epoche, a Tengri (il dio del cielo nell’antica religione dei popoli turchi chiamata Tengrismo), agli spiriti che abitano l’ ambiente attorno a lui , una preghiera in attesa di risposta.

“Öd Tengri Yasar” (che significa qualcosa come “la spaventosa legge di Tengri”) è una traccia dall’animo orgoglioso, veemente ed austera, pervasa dagli arpeggi secchi dello strumento a corde, dal tagliente flauto e da passaggi dell’arcano strumento ad arco. La voce di Berk che in questa canzone è autoritaria e severa pare impersonare la legge di Tengri sulla terra.

“Bilge Kağan’nin sözü”, “la parola di Bilge Kağan” si fa strada con un cavernoso throat singing (o “overtono” – tipo di cantato con nomi e stili diversi presente in Mongolia, Tuva, Altai, kazakhstan e presente anche in altri Peasi del mondo ), con percussioni dal sapore tribale e con melodie disegnate da uno strumento ad arco, che è il protagonista della canzone insieme al lapidario recitato in lingua göktürk di Berk. Il brano poi esplode in una travolgente e struggente epicità dominata appunto dallo strumento ad arco, per poi terminare con dei rumori della natura e degli animali. Bilge Kağan era il khagan/imperatore del Secondo khaganato turco, le cui imprese sono state descritte nelle iscrizioni Orkhon. Bilge” significa “saggio” o “uno che ha saggezza” nelle lingue turche, mentre Khagan (Kagan) è un titolo che indica un dominatore (come re, imperatore ecc..). In “Öd Tengri Yasar”, l’album del 2012, il brano si chiamava “Kül Tigin”, generale del Secondo Khaganato, di cui è stata eretta una stele che includeva inscrizioni sia in turco che in cinese e fu menzionato anch’esso nelle inscrizioni erette in memoria di suo fratello maggiore Bilge Kağan

“Kara Haber”, “cattive notizie”, riflette il dramma, l’irreparabile con sonorità dissonanti, con la voce Berk rotta quasi in singhiozzi che si fa messaggera delle tristi novità, la voce di Berk e gli strumenti piangono all’unisono un valoroso guerriero caduto, un guerriero venticinquenne coraggioso dal bel viso che Tengri ha unito al suo cielo

“Gecenin Türküsü” “canto notturno” è la traccia più rocciosa, monolitica del disco, con chitarre in evidenza dal carattere furioso. Eppure nonostante la furia “Gecenin Türküsü” è una traccia pervasa da una grande aura cosmica, notturna, sognante a tratti tenera. Una canzone che parla alle stelle del cielo, agli antenati, nomina i monti Altai (catena montuosa che attraversa Cina, Mongolia, Russia e Kazakistan). Berk si fa quì una sorta di sciamano che cadendovi in un’ipnotica trance parla con gli elementi della natura e del cosmo.

karanlık gecelerde ışığımdır ay
gökyüzünde yıldızlar beni anlar
Altay dağları’ndan soğuk esen rüzgar
hüznü anlatır bana ay ışığında

Gecenin türküsünü söyler orman
uzaktan gelen sesler , ağıttır bana
atalardan kalan izler her yanımda
unutma bizi sesleri tüm ruhumda

son nefesim tükendiğinde
son damla kan döküldüğünde
kim olduğum , nerden geldiğim
unutturamaz hiç kimse

…La cui traduzione in inglese (tratta da Google Traduttore)

I’m moon light in the dark night
understand me stars in the sky
Cold wind blowing from the Altai Mountains
Tells of sadness in me moonlight

Says the song of the night forest
distant sounds, they lament
traces left by the ancestors all over me
Remember us all soul sounds

When I run out the last breath
When the last drop of blood spilled
Who I am, where I come from
do not ever forget each one

 

“Öz” è un disco sempre prodotto e masterizzato da Berk Öner e l’inserimento di Batur Akçura al basso e Mert Gezgin alla batteria, donano una grande linfa vitale ai brani.

In questo disco come nel precedente non vi è una tecnica strumentale, un cantato impeccabili, anzi, però quella degli Yaşru è musica scritta con profondo sentimento, con sincerità. La voce di Berk Öner ha un timbro particolare, da raccontastorie, ed un grande carisma. Gli Yaşru hanno la straordinaria abilità di condurre con la mente nella loro terra con melodie nostalgiche, maestose, candenzate, solenni, circondati da un vento tiepido che percorre quei luoghi sconfinati mentre si guarda il Bosforo, si passeggia tra paesaggi selvaggi, tra quartieri antichi delle città, la Cappadocia con i Camini delle Fate, tra le steppe, le montagne ed i misteri dell’Asia Centrale. La produzione è migliorata rispetto al precedente “Öd Tengri Yasar”, ma è ancora leggermente grezza ed accentua le atmosfere antiche dei brani. Un album da ascoltare più volte per entrare sempre di più nel multisfaccettato, complesso ed affascinante mondo spirituale e culturale trasposto in musica da Berk e soci. Consigliato agli amanti del pagan e del folk metal in generale, a chi vuole ascoltare qualcosa di nuovo.

Non resta che attendere il loro nuovo lavoro intitolato “Börübay”.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

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