Recensione: Zion

Di Francesco Sgrò - 12 Maggio 2013 - 12:47
Zion
Band: Empyrios
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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72

Feroce, maligno, estremo. Tre aggettivi che riassumono perfettamente il contenuto di questo “Zion“, terzo notevole lavoro pubblicato dagli italiani Empyrios sul finire del mese scorso.
L’album può essere definito come un perpetuo turbine di violenza estrema che stringe l’ascoltatore in una morsa d’acciaio, costituita dai granitici riff allestiti con perizia dalle due chitarre sui quali si stagliano minacciosi i furiosi vocalizzi interpretati dal bravo Silvio Mancini, abile nel far filtrare un po’ di perfetta melodia attraverso i numerosi refrain che caratterizzano i vari brani dell’opera, spezzando così la devastante furia assassina sprigionata dagli Empyrios.
Infine una produzione moderna e pulita, impreziosisce non poco la proposta della band, che stilisticamente si adagia su di un Heavy dalle sfumature prog ed industrial, potente ed ottimamente eseguito, alla rincorsa perenne delle atmosfere care a Textures, Mnemic, Strapping Young Lad e Nevermore.

Le iniziali “Nescience“ e “Domino“ precipitano a tutta velocità sulle orecchie dell’ascoltatore, trascinandolo verso un profondo baratro dominato dall’ottimo lavoro chitarristico (ad opera del fondatore Simone Mularoni, attuale ascia dei DGM e di Simone Bertozzi, in forza anche ai danesi Mnemic) sorretto da un drumming impeccabile: in un panorama duro ed arcigno filtra un po’ di luce grazie agli ottimi ritornelli dalla melodia orecchiabile, carta vincente al fine di rendere davvero appetibili le due composizioni.
Dopo un’ottima partenza, il disco continua su egregi livelli con la violenta “Masters“, perfetta nell’evidenziare il valore compositivo di un gruppo che ha sulle spalle l’opprimente responsabilità di confermare definitivamente quanto di buono ascoltato nei due lavori precedenti (“And The Rest Is Silence“ e “The Glorious Sickness“, pubblicati rispettivamente nel 2007 e 2008).

La sete di distruzione degli Empyrios non accenna a placarsi e prosegue con la gelida “Reverire“, altro notevole affresco Cyber-Heavy, infarcito da lievi venature Prog, che fanno da sfondo al coro riuscito e melodico al quale seguono una serie di virtuosismi chitarristici di ottima fattura.
L’ispirazione certamente non manca al gruppo nostrano. Tuttavia, se da una parte i brani risultano ottimamente suonati e gradevoli, dall’altra tendono ad essere tutti strutturalmente molto simili, senza riuscire ad emergere davvero nella memoria dell’ascoltatore, denotando di conseguenza una certa staticità e prevedibilità che rischia di far affogare l’opera nel mare delle centinaia di proposte che a getto continuo inondano il mercato.

Un vero peccato: è innegabile, infatti, la buona qualità del materiale proposto ed il desiderio di tentare qualcosa di diverso, come dimostrano canzoni come “Unplugged“, “Renovation“ e “Wormhole“, che nonostante uno schema di scrittura ormai collaudato e finanche scontato, contengono comunque buone soluzioni creative tali da permettere al disco di continuare a scorrerete piuttosto tranquillamente.
Ad onor del vero, pure la massiccia “The Square One“, le successive “Zion“, “Blackmail“  e la conclusiva “Madman“, ripetono con successo la formula del gruppo italiano, mostrandosi caratterizzate da ottime melodie e da spietati riff chitarristici, ingredienti che decretano la fine di un album ben confezionato e gradevole, ma tutto sommato – se osservato nel suo insieme – forse un po’ troppo omologato e succube agli stilemi di ben più affermati precursori del genere.

Un elemento che, purtroppo, rischia di far scemare l’interesse dopo una manciata di ascolti per la pur interessante nuova opera del quartetto tricolore.
                                                                                                                                   
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