Recensione libro: Death By Metal (la storia di Chuck Shuldiner e dei Death)

Di Vittorio Sabelli - 18 Novembre 2013 - 23:10
Recensione libro: Death By Metal (la storia di Chuck Shuldiner e dei Death)

DEATH BY METAL: la storia di Chuck Shuldiner e dei Death
di Rino Gissi
192 pagine, cartonato

Tsunami Edizioni
www.tsunamiedizioni.com

I Cicloni 17 – 192 pagine + 8 a colori – 16×23 – ISBN 978-88-96131-58-9 – 20,00 euro

 

Potremmo riassumere la presentazione del libro con le parole di Angelo Mora nella prefazione: “L’immagine perfetta che conservo di Chuck Shuldiner è quella che trapela dal suo volto nell’immagine di copertina: sorridente, gratificato e ignaro del suo triste destino”.

E come ricordare diversamente il padre (o uno dei padri) del death metal, che in undici anni ‘ufficiali’ di carriera e con otto album alle spalle, è riuscito a evolversi in maniera esponenziale anno dopo anno, formazione dopo formazione, nonostante tutto e tutti, destino infame compreso? È inevitabile il paragone, anche se parliamo di contesti diversi, con un gigante della musica jazz, John Coltrane, che ci ha lasciato nella breve carriera di dodici anni (1955-1967) un’eredità della quale ancora oggi tutti devono tener conto. Sarà una coincidenza che la nascita di Chuck avvenga solo pochi giorni prima della morte di Coltrane? E la morte prematura di entrambi? Non lo sapremo mai! Quel che è certo è che entrambi, a distanza di anni, continuano a essere punti di riferimento essenziali per le generazioni presenti e future.

Il giovane Rino Gissi va a sopperire a una mancanza fondamentale per la musica estrema e non solo, affrontando la complessa e misteriosa storia di Chuck Shuldiner, divenuta finalmente un libro edito dalla Tsunami Edizioni, che porta il nome del primo demo degli allora nascenti Mantas: “Death By Metal”. La prefazione introduce quello che sarà un libro al quale tutti gli amanti del metallo estremo si affezioneranno, perché senza Chuck e senza i Death la musica rovente non sarebbe andata molto lontano e si sarebbe evoluta in altre forme. Solo grazie alla sua caparbietà e testardaggine è stato possibile che le idee e il genio venissero alla ribalta influenzando nell’immediato (allora) e nel futuro (oggi) la maggior parte delle band che si cimentano a qualsiasi livello col death metal e generi affini. Perché sin dai primordi l’allora sedicenne Charles Michael Schuldiner aveva ben chiara la direzione da intraprendere, e questo si evince in maniera chiara tra le righe sin dal primo trio ‘bassless’ con “Rick Rozz”DeLillo alla chitarra e Kam Lee alla voce e alla batteria fino alla disputa sul nome alla band con lo stesso Lee.

Vengono messi in primo piano gli incontri essenziali per l’allora nascente death metal, dall’inserimento dello stesso Shuldiner nei canadesi Slaughter, ai tanti avvicendamenti che hanno visto militare in ‘orbita’ Death musicisti che avrebbero fatto la storia con formazioni diverse. Basti pensare al batterista Chris Reifert nel primo “Scream Bloody Gore”, incentrato su testi splatter spesso presi in prestito da film horror di registi quali Umberto Lenzi, Joe D’Amato, Lucio Fulci , che, uniti al riffing spietato, rivedevano i canoni dell’allora nascente death metal, già in qualche modo ‘iniziato’ dall’altra sponda americana dai Possessed di Jeff Becerra. La separazione dal futuro leader degli Autopsy e i primi segni di scompenso caratteriale da parte del leader che inizia a far sentire la propria personalità dal punto di vista compositivo e tematico dei brani, si incrociano con le cover degli artisti Edward J. Repka e Rene Miville a partire da “Leprosy” (ad esclusione di “The Sound Of Perseverance”) e con i vari e continui cambi di formazione, fino al rifiuto di unirsi a Slayer prima e Kreator poi in tournèe europee.

Ma fuori dal ring la continua evoluzione personale lo vedrà cambiare continuamente direzione, sia musicale sia sotto il profilo dei testi, che evolvono in maniera complessa e impegnata, sorprendendo colleghi e addetti ai lavori. Complici gli ottimi musicisti che diventano una sorta di ‘interinali’; vanno e vengono senza certezza, se non quella di lavorare a fianco di Chuck: da James Murphy a Steve DiGiorgio a Paul Masvidal, il leader deciderà di ingaggiare i musicisti come turnisti, anziché cercare una band stabile per il futuro. Il totale distaccamento dal ‘gore’ per entrare nel mondo dell’eutanasia e dell’uomo come catena di montaggio, per poi evolversi ancora verso la coscienza e la realtà, è relazionato alla sua musica, che si allontana dal thrash/death degli esordi per avvicinarsi ad ambiti più prog e jazz, e soprattutto melodici, nonostante il riffing killer sia sempre presente.

L’inserimento di Gene Hoglan e di Andy LaRoque sono solo dei passaggi per comprendere lo stato d’animo e la direzione complessa intrapresa, e il giovane Gissi lo fa notare benissimo, in calce a ogni album, con aneddoti e particolari circostanze che fanno entrare nello stato d’animo dell’anti-star Chuck Shuldiner. Lui che si differenza dai ben più blasonati colleghi dediti a vizi e lussuria, lui che sta bene con la musica, i suoi animali e la sua pace (apparente). Fino ai Control Denied e al triste epilogo che ci lascia solo ipotesi su quel che sarebbero potuti essere i Death nel 2013, nell’era digitale tanto odiata da Chuck. Infine l’ultimo capitolo che è dedicato a una preziosa testimonianza della loro attività concertistica in Italia.

“Death By Metal” mette in risalto le difficoltà di un personaggio come Chuck, con aneddoti che in qualche modo fanno bene a chi conosce la band per filo e per segno, perché molti particolari sono interessanti, ma anche per chi la approccia da poco. Una spiegazione efficace track-by-track nei capitoli che portano il titolo dei vari album non sarà del tutto appagante per chi segue l’operato dei Death dall’inizio della loro carriera, ma senz’altro va a colmare un vuoto inammissibile per questo talentuoso musicista che tutte le generazioni che non hanno vissuto quegli anni sono obbligate a conoscere.

Vittorio “versus” Sabelli