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Recensione libro: È Solo Rock’N’Roll

Di Stefano Ricetti - 23 Febbraio 2023 - 8:10
Recensione libro: È Solo Rock’N’Roll

È Solo Rock’N’Roll

di Andrea Pieroni

Pagine 368

18,50 €

Arcana Edizioni

 

Il piacere di trovarsi insieme, fra veri appassionati di un qualcosa, è raccontare delle proprie esperienze recenti e passate e stare ad ascoltare quelle degli altri. Che si stia davanti a un camino acceso, spaparanzati sul divano armati di Jack Daniel’s nella mano sinistra e Marlboro nella destra piuttosto che più semplicemente seduti di fronte a un piatto di carbonara e a una bottiglia di Barbera conta poco, quello che rimane nel fondo dell’animo è il sapore unico di quei momenti condivisi. Non importa se l’argomento sia la musica heavy metal, i rally automobilistici, l’hockey su ghiaccio, il ciclismo su strada, il Subbuteo, il modellismo ferroviario, gli ultras, i fumetti, le bevute colossali o i rapporti e le evoluzioni con l’altro sesso. La convivialità non ha prezzo, se vissuta con le persone giuste. Il risultato di questi meeting, nel tempo, porta poi conseguentemente e in maniera naturale a far proprie le esperienze degli altri, magari a raccontarle in prima persona in diversi contesti, a familiarizzare sempre più con i ricordi di terzi sino, più o meno inconsapevolmente, ad arrivare a considerare quello che è tuo anche mio, sempreché esista un patto d’acciaio costruito sulla stessa passione.

Andrea Pieroni, CEO di Vertigo, nel suo romanzo E’ Solo Rock’N’Roll, libro griffato Arcana Edizioni, ha semplicemente e sagacemente raccolto e poi snocciolato lungo 368 pagine le proprie esperienze ultra trentennali maturate all’interno della produzione e dell’organizzazione di concerti (Gods Of Metal, Rock The Castle, Italian Gods Of Metal, solo per enumerarne tre) mischiandole e sommandole a quelle di altri addetti ai lavori ottenendo un risultato stupefacente per “tiro” e scorrevolezza di fruizione.

Esagerando un po’ qua e un po’ là, caricando oltremodo i contenuti e concedendosi delle licenze poetiche come se non vi fosse un domani l’autore ha prodotto uno spaccato brutale e fottutamente realista (nella sua esagerazione) di come funziona per davvero il mondo del music-biz.

Attraverso le vicissitudini di tale Raul Serrano, un immaginario e picaresco promoter italo-spagnolo, Pieroni ha messo a nudo il bello e il brutto di quella professione, concedendosi oltre ai loft over the top, i macchinoni, le mega pippate di cocaina e le cene in locali extra lusso dai conti stratosferici, succosi excursus nel mondo del narcotraffico, dello spaccio, del gioco, della prostituzione, della finanza, della corruzione e della truffa. Quindi via libera a personaggi che definire loschi è poco, baldracche di altissimo bordo, poveracci stritolati da situazioni al limite, rockstar vere e presunte, manager, agenti, promoter, magnaccia, band di grido e gruppi in piena decadenza, poliziotti corrotti e maneggioni di ogni razza e colore a fornire slancio a un romanzo estremamente intrigante.

Spesso, per i vari protagonisti (riconoscibilissimi, per coloro i quali bazzicano il mondo dell’hard rock e dell’heavy metal da qualche lustro), vengono usati nomi di fantasia ma non mancano citazioni reali, fatti assodati insieme con un nugolo di figure totalmente inventate, come da prammatica per ogni romanzo che si rispetti.

L’aneddotica la fa da padrona, ovviamente, a solleticare e sorreggere il poderoso ritmo della lettura che però sarebbe stato ancor più sostenuto se si fosse optato per una stesura sequenziale degli avvenimenti, evitando salti temporali fra un capitolo e l’altro. Qui di seguito alcuni estratti, tanto esilaranti quanto fottutamente e brutalmente reali, legati a situazioni diverse fra di loro ma che rendono l’idea del contenuto e della portata di  È Solo Rock’N’Roll.

 

Artisti ingrati

«Vabbè, si è fatto tardi, io schiodo. Buona serata, godetevela. Ah Raul, una cosa… qua ci pensi tu?».

«C’è da chiederlo?».

«Grazie mille! Allora ci si vede» aveva concluso il musicista, fa­cendo il gesto del pollice alzato.

«Ci si vede, Jim».

Raul era rimasto a guardarlo, mentre quello si avviava verso l’u­scita con l’aria strafottente e l’andatura di chi ha bevuto troppo. Artisti. Raul li detestava.

Quando erano di fronte a lui si spacciavano per i suoi più grandi amici, a patto che gli pagasse la cena o la serata al bar. Poi, se per caso capitava nella città dove vivevano quando non erano in tour, e se magari gli faceva un colpo di telefono per una birra o un caffè, anche se li beccava con il telecomando in mano a scarrellare anno­iati i duemila canali delle loro merdosissime tv da ottantotto pollici, gli rispondevano: «Chi sei, scusa? Ah, Raul Serrano, sì… ora mi ricordo. Cazzo, amico, mi devi perdonare, ma in questi giorni sono troppo impegnato, sarà per un’altra volta, eh?».

E riattaccavano senza salutare, lasciandolo lì come un coglione. Il famoso senso di riconoscenza che aleggiava nel mondo del music business.

 

Pioggia dorata

«Sono delle assatanate, quelle tre. Ma è possibile che le dobbiamo chiavare ogni santo giorno?» aggiunse Edu.

«Non è tutto» aggiunse Raul, sospirando.

«Cioè?». Daniel era preoccupato. E a ragione.

«Cioè non si accontentano di una sveltina: ci vogliono… insom­ma, ecco: ci vogliono pisciare in bocca».

«Ma che cazzo stai dicendo? Tu stai fuori» rispose Daniel.

«Fa troppo schifo… io non lo faccio» gli fece eco Edu.

Raul alzò le mani. «Ragazzi» disse, «se avete un’idea migliore ti­ratela fuori. Altrimenti, non c’è altro da fare che sacrificarci. Sapete meglio di me che sono delle ninfomani; sono già pronte su che ci aspettano. Una bottarella di due minuti e in quattro e quattr’otto ci togliamo il dente… e poi che sarà mai, un po’ di pioggia dorata e ciao! Altrimenti, dite pure addio alla cena dai Manolete».

Edu e Daniel si lanciarono un’occhiata piena di sconforto. Piaces­se loro o meno, Raul aveva ragione.

«Va bene» fece Daniel. «Due cose però: prima ci facciamo un paio di cannoni, e poi oggi la cessa tocca a te!».

Edu non disse niente; lui se ne intendeva di schifezze, e una più una meno non gli avrebbe certo cambiato la vita.

Diciannove minuti e quarantasette secondi dopo il loro culo se ne stava seduto bello comodo su una Chevrolet del’73 piena di ruggine e con il faro anteriore destro scassato. Se uno sbirro avesse sbattuto il grugno in quel rottame e li avesse fermati avrebbero passato un guaio, ne erano consapevoli. Ma l’alternativa era quella di rinuncia­re a una vera cena in compagnia di amici con cui parlare la stessa lingua e ricordare i bei tempi andati.

Valeva la pena rischiare. E poi, cazzo, si erano fatti anche pisciare in bocca…

 

Il significato di paraculaggine

Se c’era una cosa che gli aveva insegnato l’America, quella era l’arte della politica, leggasi paraculaggine. Quei bifolchi non ave­vano alcun senso dell’umorismo, e bisognava sempre stare attenti a quello che si diceva. Il rischio di beccarsi una mina sul grugno era dietro l’angolo, con quella gente. Raul lo aveva imparato velocemen­te, e per aggirare il problema aveva sviluppato una tecnica in cui il suo interlocutore si sentiva sempre dire quello che desiderava, ma poi si ritrovava a fare quello che voleva lo spagnolo.

Paraculaggine.

Si trattava di quel talento naturale proprio di ogni latino che si rispetti: inculare chiunque gli si pari davanti, ma sempre con il sorri­so sulle labbra. Purtroppo per loro, gli anglosassoni non riuscivano proprio a capirlo: inglesi e americani non riuscivano a concepire nemmeno lontanamente che potesse esistere qualcuno che stava cercando di fregarli.

 

 

Lezioni di vita

Lo spagnolo ascoltava annoiato le storie di Robertson e Di Maria: erano le stesse che raccontavano ogni santa volta, neanche fossero due arteriosclerotici.

In quel momento, una squadra di carpentieri, elettricisti, facchini e idraulici che stava lavorando all’allestimento dello show degli Young Dead fece il suo ingresso nel locale. Gli operai urlavano, ridevano sguaiatamente, si davano pacche sulle spalle e fischiavano alle ragazze lì presenti, che guardavano con aria tra il perplesso e lo schifato. Raul rimase a osservarli, quasi ne fosse affascinato: erano grezzi, sporchi, ignoranti, probabilmente non avevano mai letto un libro. Ma sembrava che fossero felici, a modo loro, e che sapessero godersi la vita come nessun artista o manager ingessato sarebbe mai stato in grado di fare.

 

Alcolismo

Raul ne era convinto: se sei fuori allenamento, anche ubriacarsi può essere un’impresa titanica e a volte un moderato alcolismo è consigliabile per affrontare in serenità le mille traversie che la vita ti riserva.

 

 

Spietato, divertente, feroce e illuminante. Al di là di qualche battuta a vuoto sul finale, un po’ troppo all’americana, È Solo Rock’N’Roll si rivela come una delle migliori uscite letterarie Hard’N’Heavy degli ultimi tempi.

 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti