Live report: Absu, Pantheon I e Razor of Occam all’Academy di Dublino (Irlanda)

Di Alberto Fittarelli - 26 Novembre 2009 - 12:00
Live report: Absu, Pantheon I e Razor of Occam all’Academy di Dublino (Irlanda)

Serata di tenebre musicali quella annunciata a Dublino col ritorno, atteso dai più grim, di quel gruppo “culto” che sono gli Absu. Doveva essere quindi una celebrazione per la musica più oscura del panorama metal, ma come vedremo a breve la parola “fallimentare” non è stata purtroppo lontana dall’essere la perfetta descrizione per questa serata.

Partiamo col dire che la serata è letteralmente underground: il concerto si svolge infatti nella “sala 2” dell’ottimo Academy, dove solo un paio di settimane prima hanno suonato Amon Amarth ed Entombed; peccato che questa fantomatica seconda sala sia in realtà lo scantinato del locale, che nel concerto precedente fungeva da guardaroba. Atmosfera più che intima quindi, con palco di 5 centrimetri e artisti letteralmente in mezzo alla gente.

 

Detto che a causa degli immancabili ritardi (e dell’inizio assurdo dei concerti, che a Dublino sono capaci di partire alle 18) ci si perde il primo gruppo spalla, gli Zoroaster, descriviamo da subito la performance dei Razor Of Occam, black/thrasher targati Metal Blade. Arrivando addirittura dal’Australia e avendo due membri su quattro provenienti direttamente dai ben noti Deströyer 666, ci si aspettava un concerto degno di nota nonostante la bassa posizione in scaletta; ebbene no, i Razor deludono quasi completamente.
Se infatti il suono selvaggio e grezzo è quanto ci si può ampiamente aspettare da un gruppo come il loro, il termine più giusto per lo spettacolo di questa sera è “approssimazione”: troppe sbavature anche di peso nei pezzi eseguiti, che si confondono spesso in un pastone indefinito. La band non sembra a dire il vero nemmeno troppo convinta, tanto che sul palco saliranno a più riprese un paio di ragazzi completamente ubriachi – probabilmente dei roadie – col consenso dei Razor, ad “eseguire” le vocals sui vari brani. Vi lascio immaginare il risultato.

 

 

Si sale abbastanza di livello con i Pantheon I, che con le ultime uscite hanno dimostrato di sapere davvero come manipolare la materia black norvegese  di stampo Emperor, in primis. Anche qui, forse per la non enorme affluenza o per l’accoglienza per forza di cose tiepida riservata al gruppo precedente, assistiamo a facce non esattamente cariche eed esaltate: il piccolo cantante Andrè Kvebek, noto a chi segue i 1349 da tempo, sfoggia sul torso nudo un panorama di tatuaggi un attimo incoerente, con un enorme crocifisso rovesciato sulla schiena ad appaiare i simboli di Transformers e Decepticon su ciascun avambraccio. Il Male si esprime anche così.
Il gruppo ci sa evidentemente fare, ad ogni modo, e dopo pochi pezzi risulta chiara la differenza con chi li ha preceduti: suoni decenti – ma la violoncellista Julianne Kostøl si riduce a pura presenza scenica – e pezzi compatti caratterizzano la loro esibizione. Si perdono purtroppo gran parte delle melodie che compongono il loro black metal – il pastone sonoro non fa sconti – ma il pubblico li acclama e risponde alle invocazioni della band con calore. Tra una batteria che copre quasi ogni suono e gli appplauditissimi brani del loro ultimo Worlds I Create, lo show scivola via velocemente, in attesa dei texani che chiuderanno la serata.

 

 

E sono proprio gli Absu a destare le maggiori curiosità: gruppo che abbiamo già definito di culto, su di loro aleggia un velo di mistero che li accompagna sin dalle origini. Con la formazione originaria ridotta ormai al solo, storico Proscriptor (l’altro fondatore, Equitant, ha lasciato il “mythological occult metal” nel 2002) e un terzetto di musicisti arrivati solo negli ultimi due anni ad accompagnarlo, gli americani rappresentano oggi, anche dopo il ritorno discografico, un punto interrogativo per gli amanti del black metal. Sicuramente lo show che stiamo per descrivere non potrà essere usato come standard per giudicarne la condizione di salute.
Prima di tutto, banali e quasi ridicoli problemi tecnici ne minano l’esibizione: in particolare, il gruppo trascorre i primi 3/4 pezzi a cercare, negli intervalli tra i brani, di recuperare un giunto della batteria andato perso e che impedisce a Proscriptor di innestare parte dei piatti sul proprio drumkit. Non la situazione ideale, sia per evidenti limiti tecnici che per la mancanza di concentrazione correlata.
Poi, la freddezza. Sarebbe comprensibilissimo, anzi, quasi indispensabile per un gruppo black il gelo sul palco, a creare la dovuta atmosfera; ma bisogna essere capaci di crearlo. Il frontman Paul “Ezezu” Williamson, a dispetto di uno sguardo effettivamente inquietante, sembra impagliato e quasi assente, come se fosse disinteressato al concerto in sé e occupato esclusivamente ad eseguire le proprie parti. Se la cava molto meglio la coppia di chitarristi e lo stesso Proscriptor ci mette molto del suo, cantando come noto diverse parti, ma chiaramente non basta.

Il concerto si snoda quindi abbastanza lentamente tra la continua richiesta, da parte del pubblico, di brani tratti dai due dischi più noti del gruppo: The Sun of Tiphareth e The Third Storm of Cythraul, che vengono chiaramente saccheggiati dal gruppo. La risposta è di nuovo calorosa, ma permane la condizione di sostanziale immobilismo che caratterizza l’intero show. Proscriptor aizza gli animi invocando un paio di brani da Tara, che come si saprà è dedicato all’omonimo e affascinante complesso di sepolcri a pochi chilometri dalla capitale irlandese, ma il disco in sé non è mai stato uno dei pezzi forti della loro discografia, obiettivamente. Il thrash si sente fin troppo in quella che doveva essere una serata principalmente black metal, e la scontatezza di qualche riff lascia abbastanza indifferenti anche i più dediti alla musica degli Absu. L’evidente malumore dei musicisti fa il resto, pur con indubbi tentativi di salvare il salvabile.

Si chiude quindi male il tour europeo degli Absu: una serata quasi completamente da dimenticare o quantomeno con poco da ricordare, che non fa certo onore a un gruppo con con quasi 20 anni di storia sul groppone. Meglio fare qualche ritocco significativo prima di rimettersi in gioco.