Live report: Mastodon, Totimoshi ai Magazzini Generali di Milano

Di Alberto Fittarelli - 17 Febbraio 2010 - 11:00
Live report: Mastodon, Totimoshi ai Magazzini Generali di Milano

Foto a cura di Nicola Furlan

Premessa:

Doverosa. Personalmente manco dalla scena milanese da qualche tempo, ma vedere un gruppo come i Mastodon – e la relativa audience – relegato in un locale come i Magazzini Generali, mi ha fatto vagamente impressione. Intendiamoci, il club fa il suo sporco lavoro, ma ha dei limiti strutturali fin troppo evidenti per chi attira pubblico un po’ da tutta Italia e richiede suoni precisi… C’e’ pero’ da dire che i fonici hanno lavorato decisamente bene, e i Mastodon hanno goduto di suoni ben definiti e precisi, adatti all’atmosfera che un concerto come quello di questa sera richiedeva. Danno evitato quindi, anche se stare stretti in una sorta di capannone che tanto ricorda il vecchio Indian Saloon di Bresso non lascia ottimi ricordi…

Alberto Fittarelli

TOTIMOSHI:

Ad aprire il concerto sono i Totimoshi, gruppo di San Francisco dedito ad un alternative rock fin troppo semplice: forti sia le influenze punk che quelle stoner, il trio si rende protagonista di una performance pero’ abbastanza incolore, penalizzata soprattutto dal purtroppo pessimo cantato di Tony Aguilar – urlato, sgraziato, informe.
Le suggestioni “latinas” della loro musica – o almeno quelle dovevano essere le intenzioni – si perdono quindi in 40 minuti di attesa per la band principale della serata, intermezzate solo da qualche interessante linea melodica di chitarra o dalla buona prestazione alle pelli di Chris Fugitt. Ci hanno provato, ma non erano ancora all’altezza.

Alberto Fittarelli

MASTODON:

Sono circa le nove e un quarto quando, dopo mezzora di soundcheck, salgono sul palco dei Magazzini Generali gli headliner Mastodon. c’è da dire che l’accoglienza riservata ai nostri dal numeroso pubblico intervenuto è stata indubbiamente calorosa: più di seicento persone sono accorse questa sera per godersi l’esibizione degli statunitensi, riempiendo quasi completamente il locale milanese. Ciò certamente fornisce una cifra significativa del sempre crescente successo che i Mastodon stanno riscuotendo da qualche tempo a questa parte, successo che, anche ove si pensi alla composizione quantomai eterogenea del pubblico presente questa sera, non si limita soltanto all’ambiente prettamente “metal”. Del resto i quattro di Atlanta rappresentano una delle realtà più peculiari e “fuori dagli schemi” che la scena odierna abbia saputo offrire, sia per quanto riguarda la proposta musicale, una particolarissima miscela di rock, hardcore, metal, psichedelia ed elementi progressive, sia per quanto invece attiene all’attitudine espressa, quanto mai lontana da luoghi comuni.


Il concerto di stasera sarà prevalentemente incentrato sull’ultima, apprezzatissima fatica discografica “Crack The Skye”, che verrà riproposto integralmente nella prima parte dello show. L’impressione iniziale è piuttosto buona: i nostri partono senza particolari cerimonie sulle note di Oblivion, dimostrando compattezza, precisione e confermando, sotto il profilo della perizia esecutiva, l’ottima impressione che già avevano lasciato in occasione della breve esibizione tenuta allo scorso Gods Of Metal. Anche se i Mastodon, dal canto loro, non si prodigano più di tanto per intrattenere il pubblico, preferendo mantenere un profilo tendenzialmente basso e un atteggiamento concreto e concentrato, una gradita concessione allo spettacolo è costituita dallo schermo gigante alle spalle del palco, dove, per tutta la durata del concerto, verranno trasmesse immagini psichedeliche, allucinate, ricche di simbolismi, quasi a integrare sotto il profilo “visivo” le sensazioni espresse in musica dai nostri. “Crack The Skye” scivola via nella sua interezza con notevole fluidità, tra momenti più ipnotici e riflessivi e momenti di grande intensità, come The Czar e la riuscitissima suite di chiusura The Last Baron, dove il pubblico, sempre piuttosto partecipe e reattivo, canta i cori a memoria.

Terminata l’esecuzione integrale dell’ultimo album è il momento di pagare il doveroso tributo al passato (anche recente) della band con brani estratti da “Remission”, “Leviathan” e “Blood Mountain” quali Circle Of Cysquatch, Aqua Dementia, Where Strides The Behemoth e Iron Tusk, per poi calare definitivamente il sipario sulle note dell’ormai consueta March Of The Fire ant.
Sebbene l’acustica del locale milanese non sia certo delle migliori, la resa sonora è stata nel complesso quantomeno discreta e, nonostante uno sgradevole e persistente riverbero, ha consentito di apprezzare le atmosfere liquide, ossessive e stranianti che permeano i pezzi più recenti. L’impressione sui brani più risalenti -caratterizzati da ritmiche più violente, serrate e contorte- è stata d’altro canto meno positiva, laddove i suoni sono apparsi un po’ impastati e non sempre chiaramente distinguibili. Piccola nota di demerito anche per quanto riguarda le parti vocali in clean, che dal vivo, ancora una volta, non sono risultate del tutto convincenti, soprattutto le backing vocals ad opera del barbuto chitarrista Brent Hids (a tratti persino sgraziate). Resta il fatto che la prestazione complessivamente offerta dal combo di Atlanta è stata comunque molto convincente, anche se forse sarebbe stato lecito sperare nell’esecuzione di qualche classico in più.

Pier Tomasinsig